
Nessuno lo ricorda, ma già qualche anno fa l’imam di Colle Val d’Elsa, una cittadina in provincia di Firenze, aveva educatamente, ma fermamente, posto il problema dell’ora islamica di religione. Le sue argomentazioni erano consistenti: quella islamica, diceva l’imam, non è più solo la religione degli immigrati, che pure sono tanti e sono destinati a diventare ancora di più, ma anche dei loro figli, che sono a tutti gli effetti cittadini italiani, di tanti europei convertiti ed anche di circa otto milioni di europei residenti in sette Stati balcani. In sostanza: l’Islam non ha fatto parte del nostro passato e non ha radici nel nostro territorio, ma costituisce oggi parte del nostro presente e costituirà, in modo crescente, parte significativa del nostro futuro. E chiede di essere riconosciuto. Il fatto che oggi Fini e Zaia, con posizioni antitetiche, affrontino il problema, vuol dire che quello che ieri l’imam chiamava futuro oggi è di pressante attualità. Ma le loro proposte fanno cascare le braccia, tanto sono frutto di opposti demagogismi. La proposta di Zaia, per cui il vero tema sarebbe obbligare gli islamici a studiare la nostra religione, è irricevibile. Di più, impronunciabile. L’accettazione del principio della libertà religiosa, nella storia dell’umanità, è la linea di demarcazione tra la barbarie e la civiltà. C’è da non credere che un ministro in carica esprima una regressione di questo livello. Il buon senso, ancora prima che la Costituzione italiana, prevede che tutte le religioni siano uguali di fronte alla legge e che tutti i cittadini sono liberi di praticare la propria. Come si possa pensare di obbligare qualcuno, per legge, a praticare o a studiare la religione altrui è veramente un mistero medioevale. Che diventa più fitto quando si considera che gli italiani che praticano liberamente il cristianesimo che si vorrebbe obbligare agli islamici sono una modestissima minoranza dell’intera popolazione. Meno grossolana, ma egualmente non condivisibile, la proposta di Fini, che con spirito ‘pilatesco’ propone l’introduzione nelle scuole dell’ora di storia della religione islamica, alternativa a quella cattolica. E non solo per le numerose difficoltà operative, che pure sono più di quante si creda. Solo la strumentale ipocrisia della ‘politica politicante’ e i microinteressi individuali, che ciascun politico assume in termini di posizionamento di marketing, impediscono di affrontare la questione per quello che essa è. L’unica soluzione concreta e rispettosa della spiritualità di tutti è quella che prevede di tenere aperta la testa e il cuore di ciascuno alla propria religione, ma chiusa la porta delle scuole pubbliche a tutte le fedi. Lo Stato laico non deve essere né il ‘ruffiano sponsor’ di una religione più uguale dell’altra, né un ‘self service’ che fornisce gratuitamente una religione di Stato a chiunque lo richieda. Non si tratta di un rigurgito di anticlericalismo risorgimentale, ma della consapevolezza che la neutralità dello Stato è l’unico principio che, se praticato, può spengere sul nascere ogni pretesto fondamentalista, in una società che è destinata a diventare sempre più multireligiosa. Anche nel nostro Paese, come nel resto d’Europa, il fondamentalismo cova sotto la cenere. E chi trascura questo aspetto è tanto più da irresponsabile quanto più ricopre incarichi istituzionali.