Gianni Alemanno rappresenta, senza alcun dubbio, uno degli esponenti più interessanti, intelligenti e politicamente preparati della nuova destra democratica italiana. La sua stessa elezione alla carica di sindaco di Roma, da sempre significativo ‘trampolino di lancio’ verso importanti incarichi nazionali, riveste un’importanza storica fondamentale sulla difficile strada del rinnovamento del nostro Paese. Ecco dunque il suo parere intorno ai numerosi problemi della capitale e di tutto il nostro sistema politico nazionale, a cominciare, naturalmente, da quello della sicurezza.
Onorevole Alemanno, visti i costi dell’operazione ‘strade sicure’ con l’impiego dell’esercito, non sarebbe stato più opportuno, di concerto con il ministro dell’Interno, procedere ad un più giusto impiego dei 25 mila poliziotti che, in ambito ministeriale, svolgono compiti amministrativi generalmente di competenza del personale civile?
“Occorre distinguere: bisogna tenere conto del fatto che esistono situazioni, in sede amministrativa, vedi alcune cancellerie del Tribunale, dove la macchina si fermerebbe senza la presenza di rappresentanti delle Forze dell’Ordine distaccati. È in quelle sedi che la funzione di raccordo con i relativi uffici di provenienza viene, per ovvii motivi, svolta con efficienza maggiore. Sarà in proposito necessario verificare quante unità siano indispensabili, dove si trovano e quanti possano, invece, essere recuperati per il controllo del territorio”.
E’ ormai al via il grande progetto delle ‘Città metropolitane’ e di ‘Roma Capitale’: Comuni, Province e Regioni diventeranno enti autonomi con propri Statuti, poteri e funzioni, un nuovo modo di pensare la riforma amministrativa. Qual è il suo punto di vista intorno a queste trasformazioni che verranno introdotte?
“Il mio punto di vista è che stavolta siamo di fronte a un vero passaggio storico: l’approvazione dell’art. 22 del federalismo fiscale, quello su ‘Roma Capitale’, ha decretato la nascita di un ‘super Comune’ dotato di propri fondi per attivare, oltre a un riequilibrio dei conti, un aumento degli investimenti fuori dai vincoli di bilancio nell’edilizia, nella cultura, nel turismo, e non solo. Alcuni esempi: si possono destinare nuove risorse alle infrastrutture della mobilità, come le linee metropolitane e approvare rapidamente una nuova strategia per la manutenzione stradale, attraverso una riforma della gestione degli appalti. Roma potrà muoversi autonomamente anche sul piano industriale e di sviluppo e parteciperà alla valorizzazione di beni storici acquisendone alcuni dal patrimonio statale: caserme dismesse, terreni demaniali, ed altro. E il primo segno tangibile si vedrà il 21 aprile, il Natale di Roma: quel giorno, infatti, abbatteremo il muro che ora divide i Fori imperiali in due parti, una gestita dal Comune, l’altra dallo Stato e faremo un’unica gestione di valorizzazione dell’area”.
L’emergenza abitativa a Roma è un problema ormai annoso. La precedente amministrazione aveva ‘dribblato’ la questione stipulando contratti d’affitto, assai onerosi per le casse comunali, con alcuni noti costruttori romani, al fine di adibire a residence alcune strutture private senza approvare, di fatto, la costruzione di alcuna nuova casa popolare o di edilizia residenziale ‘calmierata’: come intende procedere e nei confronti di costoro, a fronte dei contratti già posti in essere, e nei riguardi della forte domanda di abitazioni per i meno abbienti?
“La questione della casa è un altro problema storico: sono oltre 36 mila le famiglie iscritte nelle graduatorie per un alloggio popolare e più di duemila quelle che hanno 'dieci punti', alle quali cioè spetterebbe una casa con evidente urgenza. I numeri sono gli stessi da almeno dieci anni a questa parte e credo che ciò basti per far comprendere le difficoltà, da parte delle amministrazioni, di risolvere, o quanto meno, alleviare, il problema. In realtà, il dramma della casa coinvolge anche migliaia di persone ancora 'non censite', quelle cioè che non fanno neanche richiesta di un alloggio perché ritengono che non l'avranno mai. In ogni caso, è importante che si sappia che, nonostante la ristrettezze di bilancio, il Comune si è impegnato a portare a compimento l’erogazione di 10415 buoni casa, che sono in fase di ultimazione le stipule delle convenzioni urbanistiche per la trasformazione di alcuni immobili o aree con destinazione finale residenziale (ciò porterà all’Amministrazione comunale un contributo di valorizzazione complessivamente pari a 50 milioni di euro) e che con l’alienazione di immobili comunali raggiungeremo, in tre anni, l’obiettivo di 3500-4000 alloggi da destinare all’emergenza più grave. In parallelo, manderemo avanti i progetti per lo sviluppo dell’housing sociale, un percorso indispensabile per offrire la possibilità di accedere all’acquisto o all’affitto di case a canone concordato anche ad altre categorie sociali, ossia famiglie e giovani coppie a basso o monoreddito, anziani, studenti fuori sede, immigrati regolari. Il piano comunale prevede, infatti, dopo la prima fase d’individuazione di nuove aree, o ambiti di riserva, la costruzione di 30 mila alloggi popolari entro la fine dell’attuale consiliatura. In questo modo, il Comune di Roma mette mano al dossier ‘edilizia residenziale sociale’ con l’obiettivo di rispondere al fabbisogno abitativo della Capitale e nell’intenzione di promuovere una politica abitativa in linea con le reali esigenze della città, negli ultimi decenni sempre più pressanti e urgenti e troppo a lungo disattese”.
Lei è si è sempre rivolto ai giovani in maniera molto fiduciosa. Volevo quindi chiederle: non crede che una gran parte delle nuove generazioni sia poco attenta alla cultura, alla politica e alle radici della nostra Storia e siano, invece, troppo orientate verso una forma estrema di relativismo?
“Effettivamente, nelle giovani generazioni oggi si riscontra una disaffezione alla politica che tuttavia è un rifiuto di un approccio ‘ideologico’ alla realtà. Se si vuole identificare una delle cause di questo raffreddamento, si deve perciò contestare il lento processo di svilimento dei nostri valori e della nostra identità, che la cultura dominante di sinistra ha prodotto. Ugualmente, anche nei confronti della cultura e delle radici della nostra Storia, i giovani vivono questo distacco perché la realtà impone, oggi più di prima, scelte concrete, che possano garantire opportunità ad una generazione che cresce in una società che cambia. Sono queste le ragioni per cui il rischio del relativismo esiste davvero. Ma io ho intenzione di battermi con forza contro questo relativismo, etico e culturale, che è responsabile di aver indebolito i valori fondamentali, quelli che meglio identificano la destra da cui provengo”.
Ma esiste ancora, oggi, la nota egemonia culturale della sinistra, in Italia?
“Per tutto il Novecento vi è stata una tendenza diffusa a definire la cultura come un qualcosa di sinistra. Certamente, è un luogo comune, ma si sa: i luoghi comuni sono duri a morire, probabilmente perché qualcuno ci ha abituato a sovrapporre e confondere la “cultura di sinistra” con la stessa idea di cultura, che invece è ben altra cosa. Anziché domandarsi se la cultura appartenga all’uno o all’altro schieramento politico, sarebbe dunque necessario interrogarsi sul vero stato della cultura italiana, chiedersi dove sia arrivata e quali risultati abbia raggiunto. Sotto questo profilo, ho l’impressione che il mondo intellettuale che ama etichettarsi ‘di sinistra’ per ‘pontificare’, si sia sempre più ristretto ad un’area anagraficamente invecchiata. E questo è sicuramente una fatto positivo”.
Il centrodestra viene spesso accusato di essere portatore di principi culturali populisti: è così?
“L’accusa di populismo viene mossa ogni qual volta si vuole mostrare attenzione alle istanze che provengono dall’area popolare, smettendo di rinchiudersi in ‘torri d’avorio’. La verità è che molti uomini della cultura e della politica dovrebbero impegnarsi di più nel concreto ed essere meno autoreferenziali”.
Quali saranno i futuri ‘cardini dottrinari’ del Pdl? Un popolarismo sincero e non ideologico? Oppure una laicità attenta ai valori della fede?
“Il Popolo delle Libertà nasce su due valori fondamentali: il primo è quello della libertà, la libertà del cittadino, la libertà del mercato, la libertà di produrre, la libertà delle coscienze; il secondo, è quello di una libertà che si fondi sul valore, altrettanto importante, dell’identità, della nostra identità nazionale, senza la quale non c’è riferimento per esprimere la libertà stessa. Dopo il Congresso fondativo, in programma per fine marzo, avremo finalmente il più grande partito della Storia italiana, un movimento per il quale An e Fi hanno stabilito, insieme, un percorso partecipato in termini di regole, di identità, di valori e di dibattito. Perché il nostro obiettivo è creare uno strumento di partecipazione che metta definitivamente in movimento l’Italia, che risvegli la nostra nazione, che abbia la capacità di dare risposte che vengono dal sentimento popolare”.
Lei pensa che un ricambio generazionale possa portare anche ad un’innovazione dell’attuale assetto politico oppure, alla fine, il bipolarismo, cosi come è stato inteso finora, sia destinato a soccombere? E qual è la sua opinione sull’esigenza di alcuni di formare un centro cattolico moderato.
“Penso che, innanzitutto, dobbiamo incoraggiare i giovani a rivendicare con forza il protagonismo generazionale e il diritto al futuro, ostacolati in Italia da alcuni impedimenti pratici e culturali. Poi, a interessarsi alla politica e a prepararsi bene, perché c’è bisogno di prevedere, per il futuro, la sostituzione di politici meno giovani e, a volte, incapaci. Non credo, invece, che il bipolarismo sia destinato a soccombere, perché un sistema politico che vede la contrapposizione di due blocchi distinti, rappresentati, di solito, da due coalizioni o raggruppamenti di partiti e/o movimenti, che si contendono la conquista del potere, è un dato ormai consolidato e positivo ai fini della governabilità, e non solo. In questo contesto, la formazione di un centro cattolico moderato è utile e auspicabile nell’ambito del sistema ‘bipolare – bipartitico’ in fase di sviluppo, non al di fuori di esso”.
Un ultima domanda: lo slogan dei ‘fannulloni’ ormai sembra essere il ‘tormentone’ del momento. In parte, il ministro Brunetta non ha torto su un diffuso malcostume, ma non crede sia sbagliato generalizzare su una categoria, quella degli impiegati pubblici, cosi complessa ed essenziale nella vita amministrativa del Paese?
“Sono convinto che la gran parte di coloro che lavorano nella Pubblica Amministrazione non siano affatto dei ‘lavativi’ e che i cosiddetti ‘fannulloni’ rappresentino solo una piccola minoranza da rimuovere, con vantaggio di quei lavoratori che, invece, si impegnano e che spesso, anche in mancanza di mezzi e incentivi reali, fanno il massimo possibile. Si deve fare inoltre grandissima attenzione ai diritti sindacali, ma io sono convinto che gli stessi sindacati non vogliono difendere i fannulloni”.