La legittimità di una scelta come il
’partito unico dei moderati’ (PUM) non è in discussione. Personalmente, non sono d’accordo sul progetto del
PUM perché il partito unico
non ha mai funzionato. Ha funzionato il contrario, fin dai tempi del grande
De Gasperi quando vinse nel ‘48 la maggioranza ma diede
pari dignità e grandi ministeri ai piccoli alleati come
PSDI, PRI, PLI, ovverosia una alleanza/blocco di partiti con pari dignità sotto una forte leadership. Così è stata, per certi aspetti e per anni la
CdL sotto Berlusconi, ma cammin facendo
l’alleanza si è sfaldata, sia per il rapporto privilegiato con
la Lega, che rese instabile e rissoso il quadro, sia per la
non degasperiana progettualità del Premier, che consentì ai ‘piccoli’ l’illusione di sopravvivere in serra ma
senza crescere, come
figli di un dio minore. Il costituendo partito unico dei moderati è una specie di
work in progress che vedrà l’assorbimento, dentro un unico contenitore, di
FI, UDC e AN e di altre forze minori. Del resto, il manifesto firmato da illustri personaggi di questi aggregati, a parte
Chiara Moroni la cui adesione, probabilmente
personale, conferma semmai i confini, gli ambiti di questo nuovo
PPE all’italiana, sono tali da non poter contenere una forza che esplicitamente si richiami al
PSI, ancorché di ispirazione/derivazione craxiana. In un partito unico dei moderati non è concesso un partito dentro il partito
che si batta per la propria identità e storia, al massimo è permessa una
corrente socialista, che non c’entra nulla con la difesa di una storia, di una identità, di una tradizione. Ma, semmai, di
un collegio parlamentare, che è pur sempre un’aspirazione legittima. Il fatto è che l’adesione al partito unico dei moderati,
il PUM, pur legittima in tutti i sensi, comporta tuttavia una rinuncia alla propria
sovranità e una deposizione della propria
identità nel
mare magnum del moderatismo.
Niente di male, per carità. Sic stantibus rebus, il dilemma è fra chi vuole portare avanti la costruzione di un’area, di una unità,
di un progetto socialista e laico, e chi preferisce
il PUM berlusconiano. In un certo senso è addirittura naturale che
Bobo Craxi e De Michelis cerchino di mantenere in vita quel
Nuovo Psi che Berlusconi, in tempi di emergenza, ha permesso loro di
impiantare in una ‘serra’. E di questo debbono essergliene grati.
Ma ora il problema è tutt’altro. Si tratta, qui e adesso, davanti al lancio del
PUM con tanto di manifesto firmato, di
procedere a quello che Bettino chiamava “Primum vivere”, ovverosia al mantenimento in vita del
Psi là dove ne esistono le condizioni e, poi, operare per
alleanze omogenee che consentano il raggiungimento del
4 per cento nel proporzionale, innanzitutto con lo Sdi di
Boselli.
Anche a sinistra, nella
Fed, è avvenuta, specularmente, una
spinta all’unità poi abortita grazie a
Rutelli e con
la crisi del ‘prodismo’. Perciò, con lo Sdi di Boselli, è stato pressoché
inevitabile avviare da parte del
Nuovo Psi, colloqui e incontri ravvicinati per tentare una non facile
unificazione socialista. Ma la storia dimostra che
nessuna operazione in vitro funziona se non è supportata da un progetto politico. In altri temini - e il modello liberalsocialista di Tony Blair, vero esempio per gli italiani, lo sta a dimostrare - non bastano
simboli e sommatorie, perché in politica due più due non fa sempre quattro - e il ricordo della vicenda del
Psi-Psdi unificati è tuttora
lancinante. Ecco perchè l’idea dei
radicali - coi quali, peraltro, sono in atto incontri con Boselli e Bobo Craxi - di elaborare un progetto comune è
importante, perché consente la definizione di
un comune percorso politico sulla base di un
programma laico e riformista e liberale, sui diritti civili, la ricerca e la sua libertà, la libera Chiesa in libero Stato. I radicali hanno addirittura proposto
il simbolo della rosa nel pugno. Se ne parli.
Primum vivere, dunque, deinde philosophari. Senza
eccessive illusioni ma sapendo di fare la cosa giusta,
quella che Bettino Craxi ha sempre chiesto di fare da vivo e da esule e che oggi andrebbe onorata.
Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 4 luglio 2005