Il caso e il nome di Eluana Englaro, con il suo portato di tragicità individuale e familiare, assurgono oggi in Italia ad emblema, così come nella seconda metà del 700, grazie a Voltaire, l’affaire Calas lo fu per la Francia. Oggi un padre che, contro tutti, si è battuto per rendere dignità alla vita della propria figlia attraverso la morte, allora un padre, pastore protestante, condannato a morte con l’accusa falsa di aver ucciso suo figlio. Oggi la Chiesa cattolica, che in nome della sacralità della vita condanna moralmente l’opera del padre, allora la Chiesa cattolica che sosteneva l’accusa chiedendo la pena di morte mediante tortura per un padre accusato di aver ucciso il figlio perché in procinto di convertirsi al cattolicesimo. Da questo assordante clamore, che Beppino Englaro ha sopportato con pazienza sovrumana, nascerà, probabilmente la legge sul testamento biologico. Coloro che l’avversavano, adesso che la corte di Cassazione si è pronunciata, la reclamano a gran voce. E questo non è un buon segno, perché è chiaro che si chiede una legge sul testamento biologico con il fine di renderlo impraticabile. Si sono sentite, in questi giorni, e ancora per molto si sentiranno, le teorie di scienziati, monsignori, teologi, filosofi, bioeticisti e così via, sbrodolando come se i problemi che riguardano gli aspetti essenziali dell’essere come la vita e la morte non fossero scritti chiaramente nel codice morale di ciascun individuo, anche del più semplice e incolto. La domanda, elementare, che ciascuno di noi si pone in questo caso (e speriamo se la ponga liberamente anche il legislatore) è la seguente: a chi appartiene la vita? A questa domanda il laico risponde: a noi stessi e, quindi, probabilmente concluderà che il testamento biologico non solo è lecito, ma è anche opportuno, poiché consente di far valere le proprie estreme volontà. Il credente risponderà invece che la vita appartiene a Dio e che, quindi, non se ne può disporre. Ma si dovrà porre un’altra domanda: è lecito imporre, attraverso la legge, questa mia visione anche agli altri? Qui probabilmente una parte di credenti risponderanno affermativamente ed altri negativamente, rappresentando così una divisione tra chi aderisce ad una visione fondamentalista e chi ad una visione tollerante della religione che è sempre esistita. San Luca riassumeva il concetto con il motto: “compelle entrare” affinchè tutti, ricondotti al Dio vero possano conseguire la salvezza. Molti secoli dopo gli rispondeva J. S. Mill sostenendo che “il concetto secondo cui è dovere di ognuno che gli altri siano religiosi è stato alla base di tutte le persecuzioni religiose e, una volta accettato, le giustifica pienamente”. C’è da auspicare che i laici e i cattolici tolleranti siano in maggioranza tra i parlamentari. Probabilmente, come sostiene qualcuno, una società che non ha fede in Dio è infelice, ma sicuramente una società che non ha fede nell’uomo non ha futuro.