La cena a casa del giudice costituzionale Manzella, in un Paese che D’alema definirebbe normale, probabilmente sarebbe stata giudica inopportuna. Nel nostro Paese anormale viene invece definita “carbonara e piduista”. Vale la pena di approfondire la questione. Cominciamo col dire che i giudici costituzionali sono 15. Chiunque volesse condizionarne il giudizio mediante sessioni conviviali dovrebbe quindi sottoporsi non ad una, ma ad un intero ciclo di cene. Povero fegato e povera dieta. Continuiamo col dire che 5 di questi giudici sono nominati dal presidente della Repubblica che, come sappiamo, è una di quelle cariche interessate dal lodo Alfano. Il condizionamento che può esercitare il potere di chi nomina ad una carica è sicuramente molto più incisivo di un buon brasato. Dobbiamo ricavarne che i cinque giudici nominati dal presidente della Repubblica dovrebbero astenersi da giudicare il lodo Alfano? Altri 5 sono nominati dal parlamento e sono, quindi, espressione parte dell’oppposizione, che è contraria al lodo, parte della maggioranza, che ne è favorevole. Come possono giudicare serenamente? Meglio che si astengano anche loro. E che dire del caso del giudice Flick che è transitato da ministro della Giustizia del governo Prodi a giudice e poi presidente della Corte? Tutte illegittime le sentenze che hanno interessato leggi proposte e promulgate dal governo di cui faceva parte? La semplice verità è che la nostra Costituzione, scritta da persone equilibrate e non da forcaioli da strapazzo, prevede per i giudici costituzionali dei requisiti professionali, morali e di età che sono la garanzia della serenità e dell’indipendenza di giudizio che la carica richiede. Si può infatti accedere alla carica di giudice costituzionale solo dopo una intera vita specchiata e irreprensibile, dopo aver dimostrato, per una intera vita, quanto si vale come studioso e come individuo non condizionabile. Il resto è veleno. Questi avvelenatori sono degli spregevoli figuri, odiatori professionisti che traggono le loro fortune politiche dalla propalazione dei peggiori istinti della natura umana. E sono sempre esistiti. Nell’antica Grecia si chiamavano ‘sicofanti’; a Roma prendevano il nome di Tribuni della plebe; nella Firenze di Savonarola venivano chiamati ‘piagnoni’; nella Francia della rivoluzione ‘giacobini’; nella Russia comunista agitatori popolari. Questi signori nemmeno ipotizzano che la moralità delle persone sta all’interno di ciascuno. E quindi ritengono che i loro teoremi, tanto fantasiosi quanto astratti, debbano diventare norme comportamentali. Seminando il sospetto e il terrore vogliono farci vivere in una società in cui ciascuno sospetti del proprio vicino, in cui viga la presunzione di colpevolezza. L’esatto contrario di quanto prevede una Costituzione liberale come la nostra. Quando questo atteggiamento, tipico di una minoranza, supera il livello di guardia, la coesistenza sociale è a rischio. In Italia, la misura è colma da tempo, da quando le piazze urlanti di ‘Samarcanda’ si sono saldate con lo spirito scandalistico di certa stampa, da quando i processi che distruggono le persone si fanno in televisione e nelle pagine dei giornali, da quando le carriere politiche traggono origine non dai partiti, ma dalle procure, da quando la politica è solo antagonismo e non competizione, da quando, insomma, i partiti si limitano a vincere e mai a convincere. E’ un fatto che, pensando di avvantaggiarsene, la sinistra italiana abbia sempre flirtato con questi ‘arruffapopoli’. Oggi, è chiaro a tutti che, andata per ‘fregare’, ne è invece rimasta ‘fregata’. Non fa ben sperare il fatto che i due candidati alla leadership del Pd non affrontino nemmeno minimamente la questione: finchè la sinistra italiana non supererà questo nodo, inutile dire, il Pd non sarà mai un partito completamente affidabile e l’Italia, purtroppo, non sarà mai un Paese normale.