Gianni De MichelisLe vicende mediatico-giudiziarie che sono venute aggrovigliandosi nelle ultime settimane attorno alle vicende delle scalate bancarie che da alcuni mesi stanno movimentando gli equilibri di potere economico-finanziari del Paese hanno da più parti indotto considerazioni di varia natura circa le analogie e le similitudini che si potevano riscontrare rispetto alle vicende che oltre un decennio fa, all'inizio degli anni '90, hanno portato alla fine della prima Repubblica e alla nuova situazione politica caratterizzata dal ‘bipolarismo bastardo’ che ha caratterizzato la riorganizzazione degli equilibri di potere politici degli ultimi anni. Tale parallelismo è stato ovviamente accentuato dalla inevitabile constatazione della somiglianza del contesto entro cui, oggi come allora, le vicende scandalistiche in questione finiscono per trovarsi collocate. Un contesto, cioè, caratterizzato da una scadenza elettorale dai contorni incerti, da una modifica delle regole del gioco elettorali e dalla facile previsione che comunque dalle urne uscirà un cambiamento profondo dei connotati complessivi del sistema politico, così come gli italiani lo hanno conosciuto nella fase che sembra volgere al termine proprio in concomitanza del passaggio elettorale. In un certo senso, la scadenza elettorale del 2006 sembra assommare alcuni dei connotati distintivi del duplice passaggio elettorale di allora e cioè delle due elezioni del 1992 e del 1994. Risulta, in modo particolare, difficilmente smentibile la constatazione secondo la quale una parte consistente dell'opinione pubblica verrà influenzata, nei suoi orientamenti di voto, proprio dal confronto tra le vicende di oggi e quelle di ieri.
Da più parti, anche se con toni e con accenti diversi, si finisce per far riferimento in modo particolare alla figura di Bettino Craxi e al giudizio che sul suo operato si ritiene debba essere espresso proprio alla luce del significato da attribuire alle vicende di questi giorni. Ciò, ovviamente, riguarda anche chi, come noi, non ha mai ritenuto di dover rinnegare il proprio impegno e il proprio ruolo nel contesto della prima Repubblica e si assunse le proprie responsabilità proprio al fianco di Bettino: lo stato d'animo e le riflessioni che vengono in noi provocate dal susseguirsi di notizie e dalle diverse prese di posizione e reazioni che esse stanno determinando molto al di là della pur comprensibile, legittima soddisfazione che deriva dal rilevare dell'analogia nelle reazioni tra i bersagli di oggi e quelli di ieri e non può nemmeno ridursi alla semplicistica, ma anch'essa naturale, constatazione riassumibile nell'espressione: "Chi la fa l'aspetti". In realtà, l'interesse del Paese richiederebbe uno sforzo per andare oltre, cercando di trarre qualche lezione utile da tali esperienze, comunque classificabili come espressioni di situazioni patologiche, rispetto alle quali il vero problema non è tanto e solo quello di individuare e colpire le responsabilità quanto quello di trovare i modi per eliminare le cause che hanno portato a tali patologie. Ecco perché riteniamo non ancora sufficientemente qualificato il livello della discussione che si è venuta sviluppando, la quale non può esaurirsi nel semplice richiamo all'eticità dei comportamenti e all'opportunità di mantenere nette distinzioni tra la sfera delle politica e quella degli interessi, anche se legittimi. A nostro sommesso parere, il punto di fondo è quello della fissazione corretta delle regole e del rispetto rigoroso di esse, come dovrebbe avvenire in un contesto caratterizzato dalla logica dello stato di diritto, lasciando da parte ogni pretesa di perseguire una logica da stato etico. Naturalmente, ciò sposta la discussione sull'adeguatezza delle regole, sulla responsabilità delle istituzioni e della politica nella fissazione delle medesime, ma soprattutto sul connotato principale che una logica da stato di diritto deve avere: quella per cui va assolutamente evitato ogni doppio standard, sulla base del principio fondamentale secondo il quale la legge dev'essere uguale per tutti. Fu questa, allora, la principale violazione che caratterizzò Mani Pulite dal punto di vista di coloro che ne furono le vittime. E ci pare che, sia pure con soggetti diversi, la storia si stia ripetendo anche ai giorni nostri. Oggi come ieri, ad esempio, l'uso disinvolto delle intercettazioni appare chiaramente finalizzato alla "character assassination" ovverosia alla distruzione dell'immagine di coloro che vengono presi a bersaglio. Viceversa, per quello che riguarda il giudizio sul terreno politico, da esprimere sui comportamenti di questa o di quella forza politica, di nuovo come ai tempi di Mani Pulite, quello che appare prevalere è un atteggiamento ipocrita tipico di chi tende a vedere e quindi a prendere in considerazione solo una parte della realtà. Si sottolinea, ad esempio, oggi, l'inaccettabilità del collateralismo tra gruppo dirigente post comunista e movimento cooperativo, ma non si dice una parola sul collateralismo, ben più grave, in atto da anni e addirittura accentuatosi negli ultimi, basato su un distorto rapporto tra entità finanziarie ed economiche (ad es.banche ed aziende di servizio) e forze politiche attraverso l'impropria mediazione di pubbliche istituzioni come comuni e province. Così come ben poche parole ho sentito spendere per spiegare perché troppi si siano accorti della improprietà delle relazioni tra soggetti assai diversi tra loro come manager cooperativi, manager pubblici e raider o finanzieri con connotati assolutamente privatistici, quando essi erano ben noti da tempo e sotto gli occhi di tutti e la loro improprietà avrebbe potuto essere denunciata fin dall'inizio, a prescindere dall'emergere di profili di vere e proprie illegittimità penali, in quanto, sotto il profilo strettamente politico tale improprietà era tale, anche se i comportamenti fossero stati assolutamente rispettosi delle norme di legge. La realtà è che gli aspetti più patologici di tale situazione non sono figli tanto o solo dei comportamenti illegali di taluni singoli, ove e quando ciò venisse dimostrato, quanto delle scelte politiche sbagliate o inadeguate che hanno prevalso in questi anni, a partire dall'intero processo di "privatizzazioni" che è stato messo in atto. Come abbiamo già avuto modo di dire più volte, per capire l'Italia degli anni '90 bisogna porre attenzione a come si sono svolte le cose nel medesimo periodo in Russia e a Mosca. Ciò ha indebolito sia la Russia che l'Italia e oggi il vero problema non è solo o tanto quello di colpire con severità chi ne ha approfittato quanto quello di capire le ragioni degli errori politici commessi e decidere come correggerli, ovviamente avendo chiaro chi ne ha portato la responsabilità maggiore; a quelli come me, non da oggi, sembra che la seconda Repubblica è risultata peggiore delle prima, che pure le sue patologie le aveva eccome, solo e soprattutto perché il rimedio è stato peggiore del male: non vorremmo che il ripetersi di episodi di tipo sismico conseguenti a situazioni patologiche andate via via aggravandosi non porti per la seconda volta nella medesima, sbagliata direzione. Per evitare questo gravissimo pericolo, come andiamo dicendo da tempo, la precondizione dovrebbe essere rappresentata da uno sforzo il più possibile comune sulla base dell'identificazione delle vere priorità di interesse generale, nella prospettiva del futuro. Certo, la soluzione non può essere nel ritorno al passato, ma forse il contributo di esperienza di chi, forse o sicuramente porta le proprie responsabilità per le patologie di ieri, ma altrettanto sicuramente non può essere accusato di alcuna responsabilità nelle patologie dell'oggi, potrebbe risultare utile.


Articolo tratto dal quotidiano 'Libero' dell'11 gennaio 2006
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