La sconfitta del
‘Sì’ era ampiamente prevista. Nessuno aveva preso sul serio
i sondaggi dell’ultima ora che davano per sicuro il superamento del quorum. Tutti i sostenitori dell’abrogazione della legge sulla procreazione assistita davano per scontato che il cinquanta per cento non sarebbe stato raggiunto. Al tempo stesso, però, erano certi che ci sarebbe stata
un’alta percentuale di votanti. Sicuramente più del quaranta per cento. E su questa
forte partecipazione caricavano le loro speranze di vittoria nella sconfitta. Se i cattolici dell’astensione avessero
vinto di poco i laici del
‘Sì’ avrebbero potuto dimostrare di essere vivi, vitali e rappresentativi di quasi la metà dell’elettorato italiano. La sconfitta sulla legge, quindi, avrebbe rappresentato la loro
vittoria politica. Rendendo
inevitabile allo schieramento astensionista e, successivamente, a tutte le forze politiche organizzate, di
fare i conti con i laici come sempre guidati dai radicali. Il risultato del voto ha
sconvolto la speranza di poter ottenere una vittoria politica all’interno della sconfitta referendaria. Ma ha fatto molto di più. Ha cancellato una volta per tutte l’illusione di poter continuare a marcare la propria presenza politica puntando sulle
vittorie camuffate da sconfitte.
Non scrivo con soddisfazione questa osservazione. Anzi, lo faccio con dolore. Ma è chiaro che il clamoroso fallimento della campagna referendaria rende
definitivamente impraticabile l’uso del referendum come strumento di azione e di presenza politica dei laici. E mette impietosamente a nudo
la grande responsabilità dei radicali di Marco Pannella di persistere diabolicamente nell’applicazione di un metodo di fare politica che ha permesso di raggiungere
grandi traguardi negli ultimi trent’anni ma che oggi
rischia solo di far perdere di colpo ciò che è stato conquistato in passato. Non è finito il tempo dei referendum. E’ finito il tempo dell’uso del referendum come unico
metodo e strumento di azione politica. Si è esaurita la pretesa di costringere i laici perennemente divisi ad unirsi sulle battaglie referendarie per dare spinta e peso al gruppo dirigente radicale. Ed è ormai sempre più evidente che di fronte all’oggettiva tendenza alla riaggregazione del mondo politico cattolico,
chi non vuole morire democristiano o convertirsi alla moda dei “clerical-chic” deve affrettarsi a trovare nuovi modi e strumenti di fare politica.
Un’epoca è finita. Se i radicali saranno capaci di prenderne atto potranno continuare ad essere presenti sulla scena politica del Paese. Altrimenti, diventeranno anche loro dei combattenti e reduci chiusi nelle proprie memorie. E spetterà ad altri lanciare e guidare le future ed indispensabili battaglie di libertà contro
il clericalismo oscurantista di ritorno!
Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinione delle Libertà" del 14 giugno 2005