Se la
CdL si sfalda non c’è
asse padano o asse meridionale che tenga. Per i partiti del centrodestra c’è solo la
“prospettiva Venezia”. E’ bene sapere dove si va a parare in caso di
sconquasso. Ed è anche meglio che questa consapevolezza si abbia nel giorno in cui si decide la sorte del governo e dell’alleanza che ha governato il Paese negli ultimi quattro anni e che, a dispetto della sconfitta alle regionali, continua a rappresentare
almeno il 45 per cento degli italiani. Se salta la CdL, l’asse padano formato da Forza Italia e Lega ha la stessa probabilità di sopravvivenza che ebbe
il ridotto della Valtellina alla fine dell’aprile del ‘45. E’ probabile che in caso di elezioni anticipate l’alleanza a due potrebbe garantire una buona tenuta dei due partiti in Lombardia e nel Veneto. Ma, anche nell’ipotesi più favorevole, il risultato sarebbe
privo di qualsiasi valore politico. Fi e Lega sarebbero solo una frazione dell’opposizione. Consistente quel tanto che basta per assicurare
la sopravvivenza del gruppo dirigente leghista e la limitazione delle rappresaglie nei confronti di Berlusconi e delle sue aziende. Ma la frazione non avrebbe alcun peso reale nella politica nazionale. E renderebbe inevitabile ciò che
Bossi vorrebbe evitare come la peste:
lo spostamento a Sud dell’asse politico del Paese. Con il vecchio triangolo industriale in crisi, con le piccole e medie aziende padane in via di delocalizzazione, con la marginalizzazione dei rappresentanti politici delle regioni settentrionali,
la rivalsa del Meridione rispetto al Nord che ha padroneggiato negli ultimi anni sarebbe
ineluttabile.
Per Lega e Forza Italia, allora, l’unica prospettiva possibile sarebbe di
chiudersi all’opposizione. Ma non nel quadro del bipolarismo conosciuto, bensì in quello del tutto
inedito sperimentato
a Venezia per colpa della
dissoluzione della CdL locale. All’asse padano, in altri termini, non rimarrebbe altro che
partecipare passivamente al bipolarismo chiuso nel centrosinistra, appoggiando di volta in volta
gli uomini ed i partiti più moderati dell’Unione in contrapposizione a quelli più estremisti. Lo stesso vale, con qualche aggravante,
per An e la stessa Udc. Se l’alleanza di centrodestra si sfalda,
il partito di Gianfranco Fini è destinato a ritornare nel vecchio ghetto dell’estrema destra. E lacerarsi sul dilemma se fare da sponda ai Rutelli di turno o se fantasticare su
impossibili sfondamenti a sinistra come vorrebbero certi esponenti della Destra Sociale. Addirittura peggiore è la sorte
dell’Udc. Che non può passare armi e bagagli
a sinistra, perché il proprio elettorato non lo consentirebbe, senza provocare una diaspora devastante. E che non può neppure sperare di ricucire con gli altri alleati del centrodestra se non al prezzo di qualche dolorosissima autocritica. Per questo chi deve decidere sulla sorte della CdL
mediti attentamente. Con gli 8 settembre abbiamo già dato!
Articolo tratto dal quotidiano "L'Opinione delle Libertà" del 20 aprile 2005