Vittorio LussanaI mesi appena trascorsi hanno visto l’infiammarsi di una discussione, all’interno della coalizione di centro-sinistra, relativa alla futura costruzione di un nuovo partito democratico, un progetto forse in grado di raccogliere i molteplici filoni riformisti della cultura politica italiana. Si tratta di un disegno ambizioso, che presume, a mio parere, una ‘risistemazione di sistema’ dell’intero panorama politico nazionale. Non a caso, alla polemica tra Fassino e Rutelli, successiva ad un articolo del Segretario dei Ds sulle colonne del quotidiano ‘il Riformista’, ha fatto seguito una riflessione, sempre sulle pagine del giornale diretto da Paolo Franchi, del Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, Vittorio Craxi, il quale ha giustamente preso atto delle comprensibili difficoltà, per il partito della Margherita, di dover aderire al Pse, suggerendo, a sua volta, una prima riunificazione di quelle forze politiche che, invece, all’Internazionale socialista si richiamano espressamente. L’articolo del giovane Craxi appare, in effetti, assai centrato: la ‘collocazione naturale’ del mondo socialista è sempre stata quella di una forza di ‘interposizione’ tra sinistra ‘gramsciana’ e cattolicesimo democratico.
Incuneare i socialisti in quel ‘solco di mediazione’ rappresenta, dunque, una mossa assai intelligente di ripristino dei vecchi – e sanissimi - equilibri politici, in grado, tra l’altro, di favorire un riavvicinamento tra le forze appartenenti al centro moderato e democratico (Margherita, Udc, Dc di Gianfranco Rotondi e persino di una buona parte di Forza Italia). Questo, in sintesi, il quadro delle discussioni avutesi nei giorni scorsi. E, a questo punto, intendo fornire anche un mio personale contributo, al fine di indicare qualche nuovo spunto di riflessione intorno alle possibili nuove evoluzioni della sinistra italiana, nel tentativo di riuscire, finalmente, a bruciare dietro le nostre spalle tutti i ‘ponti’ ancora esistenti nel merito di antiche divisioni ideologiche, storiche e culturali.
Devo innanzitutto cominciare l’analisi nel merito delle problematiche della sinistra italiana premettendo un’importante richiesta riferita a tutto il mondo della politica, della cultura e del giornalismo italiano: smettiamola di ‘etichettare’ gli esponenti e i militanti del partito dei Ds con l’eufemismo, vagamente ironico, di ‘post-comunisti’. Rileggendo, infatti, proprio in questi giorni, i ‘Quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci, mi sono accorto di come sia possibile ‘liberare’ la riflessione del pensatore sardo dalle diverse ‘contaminazioni leniniste’ insite in alcune sue categorizzazioni - probabilmente dettate dall’esigenza di riallacciarsi politicamente alla Terza Internazionale comunista - al fine di ricollocare il suo pensiero nell’alveo di un socialismo umanistico ‘storicista’, questo sì, ma niente affatto ‘materialista’. Un primo passo di riavvicinamento culturale tra tutte le forze progressiste italiane può infatti avvenire per mezzo di una ridefinizione del movimento di D’Alema e Fassino in quanto partito dei ‘socialisti gramsciani’, risultando, tale complesso dottrinario, ben distinto dall’italo-marxismo ideologico dei Bordiga e dei Togliatti. Compito di una nuova cultura o di una nuova filosofia dev’essere quello di saper penetrare nel ‘senso comune’ di un popolo, al fine di modificarne gli aspetti più ‘stantìi’. Per ottenere ciò, occorre innanzitutto partire da una critica del ‘vecchio’ senso comune, formato in larga parte da sistemi di pensiero o da mentalità elaborate nel passato. Un’analisi critica del senso comune significa semplicemente stabilire come, nel pratico operare degli uomini, sia quasi sempre contenuta, implicitamente o esplicitamente, una determinata concezione del mondo. Ciò non vuol dire che i cittadini, in una qualsiasi società, abbiano tutti una ‘funzione intellettuale’, si badi bene. Tuttavia, tale distinzione mi appare di genere quantitativo, non qualitativo, poiché nel momento in cui una certa riforma della mentalità collettiva di una società rimane nella stretta cerchia di un’elite intellettuale, che ‘diavolo’ di ‘riforma culturale’ mai sarebbe? E’ dunque su questa base che Gramsci ha cercato di portare la propria ‘teoria della prassi’ alla ‘resa dei conti’ con il liberalismo di Croce. Esattamente su questo versante. Ma per poterlo fare, egli ha dovuto per forza di cose sviluppare una critica precisa al marxismo stesso, una sorta di ‘revisione interna’: “I soggetti protagonisti della Storia sono le masse”, scrive ad un certo punto Antonio Gramsci. “Agli intellettuali spetta oggi il compito di tuffarsi nella vita pratica per divenire organizzatori degli aspetti più sostanziali della cultura”. Insomma, gli intellettuali non debbono considerarsi una ‘casta’, bensì devono ‘democratizzarsi’, poiché la loro personalità non può limitarsi all’individuazione di nuove ed originali verità, ma entrare in uno stretto rapporto di interconnessione e di trasformazione dell’ambiente circostante, svolgendo una ‘funzione attiva’ - ‘liberale’, direbbe qualcuno - nei confronti della società. Pur se tali presupposti hanno sempre fornito svariate interpretazioni, a me pare assodato che si tratti di una ‘sostituzione’ di Marx con Feuerbach, anche se Gramsci stesso si è speso molto nel cercare di ricollegarsi all’ideologia del filosofo di Treviri reinterpretando e riconnettendo proprio quel ‘passaggio’. Tuttavia, in quel punto vi è una ‘recisione’ netta, una vera e propria distinzione, rispetto all’ortodossia marxista. Il passo, nei ‘Quaderni’, è precisamente il seguente: “La dottrina ‘materialistica’ che vorrebbe le persone come il prodotto e il risultato dell’ambiente e dell’educazione circostante e che, pertanto, spiega i cambiamenti degli uomini da un mutato ambiente o da un altro genere di educazione, dimentica che l’ambiente medesimo viene modificato proprio dagli uomini e che l’educatore deve egli stesso essere educato” (Quaderni, pag. 2356). Se questo non è socialismo democratico, allora mi si venga esattamente a spiegare di che cosa si tratta! Se tali mie considerazioni dovessero ‘fornire il fianco’ a stravaganti critiche di pseudo-intellettualismo, deve risultare ben chiaro sin dall’inizio che sono pronto a disinteressarmene autorevolmente: mantengo infatti tutta l’intenzione di ‘trafugare’ – se così si può dire - il pensiero di Gramsci dal ‘Pantheon’ del marxismo, al fine di considerarlo un interlocutore culturale importante per la riunificazione di tutte le sinistre democratiche italiane, poiché non è più possibile tollerare determinate polemiche, intellettuali e giornalistiche, tese solo a rendere il panorama culturale complessivo una sorta di arena per dispute destinate a lasciare il tempo che trovano o che, stoltamente, alimentano un continuo ‘sbattere la testa’ contro il muro dei più stupidi ‘revanchismi’. Strumentalmente - questo certamente sì - intendo continuare a riflettere intorno al pensiero di Gramsci come e meglio posso e ritengo, anche al fine di chiarire il genere di importanza che, in verità, ha avuto la pur strettissima vittoria del centro-sinistra alle scorse elezioni del 9 e 10 aprile. Essa è risultata, infatti, fondamentale nel cambiare il ‘corso’ della discussione complessiva, poiché l’ha portata, finalmente, sul versante delle culture progressiste e dei necessari ‘passi’ che essa deve saper compiere al fine di evolvere se stessa e l’ambiente politico-sociale circostante. E’ proprio in base a simili presupposti che si chiede, oggi, alle sinistre più radicali, di non ‘suicidare tutta l’Unione’ intorno alla questione del rifinanziamento della missione militare in Afghanistan: a tempo debito e seguendo un percorso democraticamente ‘paziente’ sarà possibile sviluppare un genere di politiche assai importanti per l’identità della sinistra italiana presa nel suo complesso. E per quel che riguarda l’Afghanistan e l’Iraq, niente paura: ce ne andremo presto. Ma ciò dovrà essere realizzato tenendo conto del contesto di alleanze internazionali nel quale il nostro Paese è inserito, svincolando la questione dal problema più generale del necessario aggiornamento delle ‘politiche di sistema’. Tale percorso, infatti, è possibile se la si smette di considerare il terreno della dialettica quotidiana come qualcosa da condizionare attraverso continui ‘scossoni’: è ora di convincersi, definitivamente e con fiducia, della bontà di un preciso percorso programmatico, assolutamente realizzabile nei tempi e nei modi dovuti. La polemica risalente ad alcuni decenni passati e innescata dal Partito della Rifondazione comunista intorno all’adozione di un sistema elettorale maggioritario, ad esempio, ha visto il verificarsi di quasi tutti gli ‘spunti critici’ evidenziati dal movimento oggi guidato dall’On. Giordano. Ciò può tornare molto utile, oggi, a comprendere facilmente come il ritorno ad un sistema proporzionale non solo non moltiplica i partiti, ma ne preserva le identità culturali più autentiche e può contribuire a ‘risistemare’ il mondo cattolico-democratico sul suo effettivo fronte sociale di appartenenza: quello moderato. A mio parere, una realistica ristrutturazione del nostro sistema politico può infatti avvenire solamente se ricominciamo, tutti quanti, a definire ogni cosa col proprio nome: che i democristiani facciano dunque i democristiani; che i laici e i socialisti riprendano a svolgere la propria funzione di ‘minoranza’ efficace ed influente; che i ‘gramsciani’ comincino finalmente ad approdare sul terreno del riformismo socialdemocratico; che i comunisti continuino a fare i comunisti. Se vi è un 10% di elettorato italiano che ritiene l’esperienza del Pci non tutta da ‘cestinare’ - considerazione che ritengo persino condivisibile - non vedo perché esso non possa esprimere le proprie convinzioni, magari evidenziando anche una serie di auto-analisi in grado di maturarla come sinistra di governo (e non solamente in quanto mero movimentismo antagonistico di opposizione). E se esiste la possibilità per la creazione di un nuovo grande partito socialdemocratico del 25 - 30% - che personalmente vorrei caratterizzato anche da chiare connotazioni laico-riformiste - in grado vieppiù di porsi come un interlocutore credibile e legittimo di fronte alle forze cattolico-democratiche e moderate, non vedo perché ciò sia da considerare un’ipotesi peregrina, dato che mezzo mondo viene stabilmente governato proprio dalle forze di ispirazione laburista o del socialismo liberale. Si tratta forse di uno scenario dipinto con forti ‘tinte mitterandiane’? Può darsi. Ma sia ben chiaro che si tratta dell’unico sentiero realmente percorribile per non riconsegnare l’Italia agli ambienti più conservatori e retrivi del Paese. Alcune ‘operazioni’, cari amici comunisti, sono parzialmente riuscite: perché non provare a tentarne delle altre?


Articolo tratto dalla rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensieri' pubblicata sul sito web di informazione e cultura www.diario21.net
Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio