Mauro MelliniVocabolario
I referendum sulla legge sulla procreazione assistita ed il loro esito hanno riacceso discussioni da tempo sopite, rimesso in uso parole dimenticate, evocato avvenimenti da tempo ignorati. A cominciare dalla parola “laico”. I “laici” sarebbero gli sconfitti. I “laicisti”, i referendum. Ma “laici” sarebbero anche alcuni di quelli che hanno accolto “l’alto magistero della Chiesa” sulla vita umana etc., etc., nonché il “conseguente” richiamo al “dovere del non voto”. Vi sarebbero, cioè, anche dei laici (magari opportunamente differenziati dai “laicisti” e ad essi contrapposti, come primo fra tutti per peso e non solo corporeo, Giuliano Ferrara) che sarebbero da annoverare tra i vincitori e tra i fondatori di un nuovo laicismo “aperto ed attento” ai fondamentali ed anche un po’ fondamentalisti valori religiosi. Perché, dei vecchi e dimenticati vocaboli, “clericalismo” non è tra quelli riesumati, anzi. Vincitore sarebbe anche Rutelli, che ha fatto fesso Prodi anche sulla questione del voto al referendum. Vincitore, dunque, ma non “laico”, neppure “nuovo laico”. Semmai “vecchio”, con riferimento ai suoi trascorsi radicali, da dimenticare. Sconfitti sarebbero, dunque, i laici, quelli che non hanno rinnovato in tempo il significato del termine ed il bagaglio dei loro convincimenti ed atteggiamenti: laici e basta. Ma valli a trovare. Non solo e non tanto perché le sconfitte sono sempre orfane, ma perché quelli che alla campagna per il SI hanno dato il maggior apporto (ed il maggior numero di votanti), cioè i Ds, si sono sempre guardati dal definirsi laici, non tanto per rispetto della verità, quanto per timore di doverlo essere sul serio o essere scambiati per tali. Alla fine, si direbbe che, assicurata l’etichetta “laica” alla sconfitta, ad essere sconfitti siano stati solo i radicali (o quel che ne resta sotto tale etichetta).
E ciò quando, ad onor del vero, a sconfiggere la posizione da loro sostenuta era stata la Corte Costituzionale, eliminando l’unico referendum facilmente presentabile come “laico”, quello che proponeva la cancellazione in blocco di una legge che affida alle norme penali ed alle procedure burocratiche le vie da battere dalla scienza ed i problemi che ciò pone alle menti ed alle coscienze degli scienziati. Vero è che, per gestire il gestibile (cioè i referendum residui, graziati dalla Consulta a beneficio del collaudato equilibrismo Ds- ex Pds- ex Pci), i radicali non hanno saputo tirarsi fuori dall’impostazione teologico-scientifica, con conseguente guazzabuglio, onestamente non decifrabile dagli elettori, di embrioni, cellule staminali e simili. Né sarebbe stato facile farlo e ricondurre il referendum ad una sana ed autentica scelta laica sulla funzione della legge e contro la confusione tra morale, teologia e diritto penale.

Morale, teologia e tattica
Vincitrice sarebbe, dunque, la Chiesa. Una notazione positiva è, in verità, possibile. Finalmente sembra accantonato l’equivoco che si sarebbe espresso, come si è espresso per mezzo secolo ed in occasione di altri referendum, ove si fosse parlato di “cattolici”, invece che di “Chiesa cattolica”. Una distinzione più che legittima, ma tale proprio perché non consente confusioni e, soprattutto, alibi per la gerarchia della Chiesa (che sembra valersene quando sente aria, e non solo aria, di sconfitta). Che ad essere scesa in campo sia stata la Chiesa come tale, nessuno dunque, stavolta, lo mette in dubbio. Il che evidenzia il fondamento di uno dei presupposti della protesta per tale intromissione nella vita politica italiana. Non si è trattato di scelta autonoma dei cattolici in quanto cittadini e portatori di una fede. Ma, a ben vedere, non si è trattato neppure di un atto del magistero morale della Chiesa nei confronti dei suoi fedeli. Si direbbe, piuttosto, si sia trattato di un ammaestramento tattico, di sfruttamento di una situazione di partenza (l’astensionismo largamente diffuso, lo “zoccolo duro” degli astensionisti etc.). Il Papa ed i Vescovi non hanno solo “insegnato” che “l’embrione è persona”, ma neppure soltanto che bisogna prevedere il carcere per chi viola i suoi precetti: hanno dato la parola d’ordine di valersi, per ottenere ciò o, meglio, mantenerlo avendolo ottenuto, di un determinato strumento, di seguire una determinata strategia politica. Ed a questo punto è lecito anche al non credente (e sarebbe d’obbligo per i molti non credenti, catecumeni dell’ammirazione e del gradimento per la “sapienza della Chiesa”) fare qualche considerazione sull’effettività dell’“altezza del magistero” così come si è manifestato in questa occasione. La proposizione “sulla vita non si vota” è manifestamente una balla. Aveva votato la Camera. Aveva votato il Senato. In un certo modo. Erano chiamati a votare i cittadini: solo allora quella materia veniva posta al di là delle decisioni legislative, delle maggioranze e minoranze? Non votare era una scelta strategica assai efficace, facile e di quasi sicuro effetto. Ma, sostenere che quella dell’alleanza con gli indifferenti e, magari, gli ignari, con i neghittosi, fosse un precetto morale d’altissimo livello, l’espressione di un magistero infallibile in punto di fede e di morale, è cosa molto difficile a sostenere ed alquanto grottesca. Perché questa è la realtà: la parola d’ordine vincente del Cardinale Ruini, a ben vedere, non ha avuto la forza di evocare profondi convincimenti e rinverdire fedi sopite, di aprire le strade di una nuova spiritualità. E’ stato il saggio, umanamente saggio, invito ad accodarsi agli indifferenti, a quanti protestavano per i quesiti “troppo difficili”, per la “politica” che troppo spesso ci chiede di “scomodarci” per andare a votare. Saggio, abile, facile. Ma, gabellare tutto ciò per un “ammaestramento morale” e definire il successo di questa strategia un segno del “ritorno alla Chiesa”, del rinnovato “bisogno di spiritualità” di un’Italia che non andava più a messa e vede crescere divorzi e matrimoni civili, è palesemente falso e falsificante ed anche un po’ grottesco. E sostenere che, con questa alleanza e con l’obiettivo del quorum da non raggiungere, la Chiesa si sia presa la rivincita sulla vittoria laica sul divorzio del 1974 è una solenne baggianata. Semmai, questa vicenda si inquadra nella logica della “Chiesa del godimento”, del “tifo” da stadio per Papa Wojtyla. Una Chiesa che molto sacrifica al “gradimento” dei non credenti, degli indifferenti, al punto da tollerare che si definisse, certo con intento apologetico, Giovanni Paolo II “il Papa di tutti”, cristiani e non. Proposizione che sfiora, a dir poco, l’eresia sincretista. Benedetto XVI non è sospettabile di condividere, gradire o, semplicemente, tollerare facilmente certi atteggiamenti, di auspicare un cattolicesimo che affolli stadi, piazze e pellegrinaggi e veda deserte, o quasi, le chiese. Ma ha dovuto pagare questo prezzo per il successo di questa sua prima mossa di Papa ex prefetto del Sant’Uffizio. Avrà certamente fatto bene. Fanno male i “laici” a non capire cosa sia realmente avvenuto.

I laicocatecumeni
Pare che sia in crescita il numero dei “laici” che scoprono i “valori fondanti della fede”, laici nel passato (o sedicenti tali) ed anche, di malavoglia, nel presente, ma catecumeni fondamentalisti cattolici o “concorrenti esterni” dei medesimi per il futuro. Non sono affatto “toccati dalla fede”, ma da quelli che sembrano i suoi successi. Non sono una novità. In fondo, il “compromesso storico” presupponeva una buona dose di questo atteggiamento. Solo che Berlinguer non era, anzitutto, sospettato di essere “laico”, era solo non credente. E poi, guardava alla eredità del passato. Giuliano Ferrara e, magari, Marcello Pera, sembra guardino ad un futuro che improvvisamente si è dischiuso ai loro occhi. La Chiesa del gradimento, dei viaggi di Giovanni Paolo II, degli stadi e delle piazze pieni, di folle accorrenti con sciami di pullmans, li aveva già conquistati. Quelli che vogliono considerare il successo dell’appello di Ruini in favore degli embrioni, dà loro la possibilità di vedere in tutto ciò una versione europea del fondamentalismo cristiano che ha fatto vincere a Bush le elezioni americane. E forse pensano che ci vuole un fondamentalismo all’ombra del quale essere laici. Magari il fondamentalismo dell’astensione. Forse, nel mondo cattolico non c’è altrettanto entusiasmo per i progressi di questo gradimento. Ma ognuno gradisce quel che sa e può.

Il matrimonio di Totti: un caso esemplare
Se la “Chiesa del gradimento”, degli stadi e delle “attenzioni” dei non credenti aveva bisogno di un episodio che consentisse di meglio coglierne essenza e frutti, questo è stato il matrimonio di Totti. Una folla di tifosi, i cori da stadio, un prete che, di fronte all’occasione di cotanto evento sportivo-mondano-televisivo, perde la trebisonda e si sfoga con la recitazione di un’omelia tra lo spregiudicato, il popolar-romanesco e la “drittata”. Un sindaco del partito (ex) comunista che assiste con tanto di fascia tricolore. Ed un nuovo rito matrimoniale a metà strada tra il concordatario ed il civile: parroco e sindaco cocelebranti, con quest’ultimo che legge gli articoli del codice civile in luogo del parroco. In altri tempi quel parroco sarebbe stato scomunicato, o giù di lì, per le disinvolture grassocce della sua interminabile predica, se non per la “cocelebrazione”. Ratzinger non ne sarà, magari, stato entusiasta, ma il successo è successo, si tratti di referendum o di matrimoni. E dire che sulla lettura degli articoli del codice civile, sulla loro essenzialità, sul ruolo del sacerdote cui essa è commessa dalla legge, si sono cimentati giuristi come Arturo Carlo Jemolo! Oggi siamo al “rito Totti” e nessuno si pone problemi. Che c’entra Totti, si chiederà il lettore, con il referendum, gli embrioni, con Pera e Ferrara, con la Chiesa di Ratzinger e di Wojtyla? C’entra, c’entra. Così come, ed ancor di più, c’entra il fatto che nessuno si pone questi problemi.



Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 13 luglio 2005
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