Nel lunedì di Pasquetta dell'anno del Giubileo, l'amato papa Francesco è “tornato alla casa del padre”. L'ultima Pasqua l’aveva trascorsa tra i fedeli: a sorpresa, in una piazza San Pietro gremita di persone, per l'ultima benedizione: “Urbi et orbi”. E qualche giorno prima, tra gli ultimi: i carcerati di Regina Coeli, definiti: “Amici da perdonare”. Cosa ne sarà, ora, degli equilibri geopolitici mondiali? Il pianeta perde una delle sue guide spirituali, sociali e politiche più rappresentative. Dopo di lui, un'incognita. Per salutare Francesco, vogliamo ricordare uno tra gli episodi più significativi del suo pontificato, tornando al 27 marzo 2020, in una piazza San Pietro completamente vuota, con il suono della pioggia battente che accolse la sua preghiera: una data che rimarrà scolpita nella nostra memoria per la straordinarietà di quanto accaduto. Solo, sul sagrato della basilica, nell'immenso silenzio della piazza, il pontefice ha lanciato in diretta un messaggio di speranza al mondo intero in balia della pandemia da Covid 19, avviando una meditazione su un passo del Vangelo secondo Marco (4,35-41). Precisamente, l'episodio in cui Gesù placa il mare in tempesta, esortando i suoi discepoli a non avere paura: "Perché avete paura? Non avete ancora fede"? Queste le parole più volte reiterate dal pontefice nel corso della sua intensa orazione. Parole che hanno colpito tutti, credenti e non, facendo riflettere sui valori della fratellanza e della solidarietà, su ciò che realmente conta e non passa: "La tempesta", spiegò Francesco, "ha smascherato la nostra vulnerabilità e lasciato scoperte le false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri 'ego', sempre preoccupati della propria immagine. Ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l'appartenenza come fratelli". Un monito a tornare alla sostanza delle cose, all'essenza della vita: agli affetti, alle radici, alla memoria dei propri cari, rifuggendo tutto ciò che è effimero e che, freneticamente, corre via. "Fitte tenebre", aggiunse in seguito, "si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città: si sono impadronite delle nostre vite, riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio". Impauriti e disorientati, siamo tutti uguali: tutti sulla stessa barca. E tutti, per affrontare quel difficilissimo momento, abbiamo dovuto remare insieme, perché "nessuno si salva da solo". Ecco, allora, il pensiero "ai tanti compagni di viaggio esemplari, che nella paura hanno reagito donando la vita alle persone comuni solitamente dimenticate, che non compaiono nei titoli dei giornali e nelle riviste, nelle grandi passerelle dell'ultimo show: medici, infermiere e infermieri, agli addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell'ordine, volontari, sacerdoti, religiosi e tanti, ma tanti altri". Un discorso toccante e di conforto, a cui seguì la benedizione 'Urbi et orbi' (alla città e al mondo, ndr) e la concessione dell'indulgenza plenaria senza le consuete condizioni, a chiunque "sia attraverso le tecnologie di comunicazione, sia solo unendosi con il desiderio" fosse spiritualmente partecipe. Testimoni eccezionali: il Crocifisso ligneo della chiesa di San Marcello al Corso, portato in processione durante la grande pestilenza che colpì Roma nel 1522 - e al quale si attribuì la miracolosa cessazione dell'epidemia - e la veneratissima icona di Santa Maria Maggiore, la 'Salus populi Romani' (la salvezza del popolo romano, ndr) ospitata nella Cappella paolina. 21 aprile 2025: ciao, Francesco.