Si chiama ‘Musiche ribelli’ il nuovo cd di Luca Carboni, distribuito dalla Sony Bmg Music. Un lavoro raffinato, prodotto insieme a Riccardo Sinigallia, nel quale il cantautore bolognese guida l’ascoltatore in un viaggio tra i ‘brani – simbolo’ degli anni ‘70, in un personalissimo omaggio ai grandi cantautori e alla canzone d’autore di quel decennio.
Luca Carboni, questo suo nuovo ‘viaggio musicale’ inizia con ‘Ho visto anche degli zingari felici’, il primo singolo estratto dall’album, un brano che Claudio Lolli lanciò nel 1976 e che lei ripropone in duetto con Riccardo Sinigallia. Si tratta di una poesia struggente, partecipata, che sorprende per l’attualità del percorso che descrive: è per questi motivi che l’ha considerata un ‘inedito’?
“L’album è composto di canzoni tutte stilisticamente belle, lo dico senza presunzione: brani che hanno avuto una fortissima valenza sociale e politica, ma anche poetica. Ma questo pezzo lo considero molto attuale, quasi come fosse un ‘inedito’, dal momento che il testo offre grandi spunti di riflessione sul nostro tempo e la nostra società, soprattutto per la descrizione delle incertezze e delle durezze di chi si preoccupa ancora di cambiare il mondo, della tensione di riprendersi la vita e l’abbondanza, la difficoltà di capirsi, di organizzarsi e di comunicare”.
Come ha scelto queste canzoni?
“Con grande umiltà. Come progetto non è originale, ma il grande stimolo, lo voglio sottolineare, deriva da Franco Battiato, che ha interpretato canzoni non sue con un nuovo linguaggio. Mi è piaciuto questo suo esperimento, anche se la mia storia è analoga ma diversa. Dopo Battiato, anch’io ho voluto intraprendere questo progetto, per rendere omaggio a quelli che considero i miei riferimenti musicali, quelli che hanno contribuito ad accentuare il mio desiderio di scrivere canzoni e che avevano una musicalità ‘essenziale’, come Bob Dylan in America”.
Le emozioni di ‘Musiche ribelli’ si snodano anche attraverso altri ‘intramontabili’, come ‘Musica ribelle’ di Eugenio Finardi, ‘Raggio di sole’ di Francesco De Gregori, senza dimenticare Guccini, Dalla e Bennato...
“Sì, tutti riferimenti musicali autorevoli di quegli anni. Ma De Gregori è stato sicuramente un cantautore speciale per me, poiché è riuscito a dare forti segnali sociali, poetici ed ermetici a differenza di Fabrizio de Andrè, che all’epoca sembrava più ‘artificioso’, più distaccato, maggiormente orientato alla canzone ‘francese’. Anche se ‘Via del Campo’ è stata la canzone che ho sentito più vicina a me, sin dall’inizio ho avuto un ‘blocco’ e non sono riuscito a cantarla in maniera davvero convincente”.
L'avvelenata di Francesco Guccini, apparentemente risulta stravolta...
“Apparentemente sì. In realtà, tutti gli accenti erano già nel testo. Nonostante io ami il Guccini più intimo, introspettivo, triste e malinconico, ‘l’avvelenata’ rappresenta un vero sfogo energico, incisivo, con la gergalità tipica di quegli anni ribelli. Per me che sono bolognese, mi colpì molto la sua ironia emiliana: è stata una grande lezione. Guccini ha insegnato un nuovo modo di esprimersi”.
La sua città, Bologna, quanto è cambiata nel tempo?
“La mia città mi ha permesso di vivere con la mia musica e di rimanere anche distaccato. Il fatto di vederla cambiata credo sia dovuto al fatto che tutto sta cambiando in Italia, anche se in ritardo rispetto agli altri Paesi d’Europa, dove situazioni come l’immigrazione si sono verificate prima. L’importante, però, è riuscire a mantenere un atteggiamento di apertura e tolleranza. E non mi riferisco soltanto alla mia città…”.
Un’ultima domanda: qual è la canzone più ‘ribelle’ che lei ha scritto?
“Credo ‘Farfallina’, ribelle sicuramente per l’epoca”.