Dolcissima Eluana, dopo che la tempesta sarà passata, ci chiederemo quanto a lungo durerà quello squarcio tra le nuvole che ti ha portato via. E solo allora potremo comprendere veramente ciò che la tua anima ha dovuto sopportare, tutto il dolore che avrà provato il tuo cuore, insieme a quello di tuo padre e della tua famiglia. E ricominceremo ad attendere quell’intervento divino in grado di sciogliere questo ‘nodo’ che tu ci hai lasciato e che molti non riescono nemmeno a scorgere. In questi anni, vedendo e rivedendo le tue foto, dedicandoti scritti e pensieri, ho potuto solamente immaginarti nella tua stanza d’ospedale senza poter far niente. Non ti ho potuta nemmeno pensare come una semplice ragazza in gravi difficoltà, ma soltanto come un’autentica, gigantesca, ingiustizia divina. Ho tanto auspicato una svolta qualsiasi. Ho desiderato fortissimamente persino la tua morte, nel tentativo di riuscire a superare quel sentimento di sopruso morale che provavo e che provo nei confronti di una vicenda che, alla fine, è solamente quella di un fiore spezzato, di un gambo di giglio reciso e abbandonato sopra a una montagna altissima, senza che né soffio di vento, né pioggia, né coltre di neve alcuna potesse ricoprirla, al fine di rigenerare il ciclo della vita e della terra. Quanti pensieri ti abbiamo dedicato tutti, cara, quante preghiere. Ma non c’è stato proprio nulla da fare. Ebbene, Eluana, adesso sento il bisogno di scriverti, dal più profondo del mio cuore, che se Dio non è in grado di accettare il nostro amore e i nostri sentimenti migliori, se non vuole più ascoltare le nostre voci più sincere, più autentiche e più disinteressate, Egli allora merita di essere a sua volta ignorato. Io posso amare te, oggi, perché questa è la sola cosa che la tua storia è riuscita ad insegnarmi veramente. Forse, Dio ha voluto portarti fin sulla vetta dell’esistenza umana per dimostrare che tu meritavi qualcosa di diverso, un affetto differente rispetto a quello che merita la maggior parte degli altri esseri umani. E che la tua vita, benché breve, non poteva e non doveva essere una vita qualunque, un’esistenza come tante altre. Ma se Dio è in grado di decidere tutto questo, allora Egli merita pienamente che un ‘guanto’ di sfida venga finalmente scagliato contro di Lui, gridando il tuo nome fino all’ultimo angolo dell’universo. Che razza di Dio è un Dio che può abbandonarti per 17 anni? Che Dio è quello che non riesce a trovare il tempo di venire a salvarti o a portarti via con sé? Un Dio vigliacco? Un Dio cinico? Un Dio alla rovescia? Dunque un demonio? Un ‘pigmeo’ gigante? Un Dio che si diverte a vedere come noi, piccoli ‘insetti’ terrestri, cerchiamo di risolvere quei dilemmi, morali e materiali, che Egli stesso si diverte a porci? Desiderare che tu morissi, Eluana, col passare degli anni è diventato come desiderare di morire io stesso. Ma proprio non riuscivo a trovare altro ‘passaggio’, proprio non vi era altra strada che quella di sfidare Dio in persona. Io ti ho cercata, Eluana, con il cuore e con l’anima ovunque e dappertutto, fin sopra alle stelle più lontane, per riuscire a comprendere dove tu fossi finita. E mi sono perso in un mistero totale, assoluto, profondo e doloroso, mentre intanto il tempo passava, i giorni passavano, i mesi passavano, gli anni passavano: tempo, tempo, tempo e ancora tempo. Maledettissimo tempo! Ebbene sì, Eluana, te lo voglio confessare: ad un Dio che ha osato sottoporti ad una prova del genere, io vorrei gridare in faccia tutto il mio disprezzo, vorrei esprimergli quel che penso oggi di Lui dopo averti lasciata per 17 anni in una terra di nessuno. Ti giuro che avrei il coraggio di rivoltargli contro tutta la sua ingiustizia, tutta la sua viltà, tutta la sua ignavia, perché alcuni di noi debbono ‘scavare’ ogni giorno, con il cuore e con la mente, per riuscire a vivere e, persino, per riuscire a morire. Ma perché? Perché? Perché alcune ragazze come te, che nulla hanno fatto di male nella loro vita, sono destinate a diventare dei ‘pozzi senza fondo’ da cui tutti possono attingere liberamente? Perché possono esistere persone che, nel corso della propria vita, possono prendere, prendere e prendere ancora, mentre altre sono solo costrette a dare, dare, dare, sempre e solamente a dare? Dove sono state scritte queste leggi? E perché mai ci sono state nascoste? Perché Dio ci costringe a diventare persino infami pur di non dover chinare la testa verso un’ingiustizia che non è nostra, ma solamente sua? No, amica mia: io non mi posso piegare, questa volta non mi voglio piegare, nemmeno innanzi a Dio in persona. Perché se lo facessi dimostrerei di non provare nulla verso di te, nulla verso il mio prossimo, nulla verso il mondo. Il dilemma rimane agli occhi di molti: è nobile o ignobile pensare tutto questo? Perché in questa storia, moralmente non vi era alcuna via di mezzo: solo un abisso a destra e uno a sinistra, uno strapiombo da una parte e un altro dall’altra. Dio ti ha voluto porre in vetta a una montagna altissima, amica mia, dove nessuno poteva riuscire veramente a raggiungerti, sino al punto da rendere logicamente giusto, limpidamente corretto, prendersi la responsabilità di dirti addio. Perché la vita finisce, gli amori finiscono, le amicizie finiscono, insieme a tutto il resto. Perché questa è la vita, Eluana, la nostra vita. Essa è solamente nostra, di nessun altro. Nemmeno di Dio. Questo è il principio.