L'esercizio della giustizia, in Italia, secondo
Isonomia sta raggiungendo
livelli di inefficienza decisamente allarmanti, anche e soprattutto in termini di "zavorramento burocratico" di un mondo che non riesce a scrollarsi di dosso il pesante fardello di consuetudini procedurali di diretta matrice centralistica, mentre dovrebbe decidersi, invece, ad imboccare con maggior coraggio e decisione la via di una congrua razionalizzazione di snellimento degli apparati.
L’Associazione Culturale Isonomia è una delle principali organizzazioni di studio e di approfondimento giuridico la quale, attraverso un rovistante e continuo lavorio scientifico di analisi dottrinali ed empiriche, si sta da anni impegnando seriamente nel tentativo di imprimere una svolta di carattere culturale ai numerosi problemi della giustizia in Italia.
Nel proprio manifesto fondativo, infatti, Isonomia si propone di
diffondere una nuova cultura, nel nostro Paese, che abbia come presupposto il recupero di un dialogo, in relazione alle gravi disfunzioni della giustizia, scevro da condizionamenti o strumentalizzazioni e che tenga principalmente conto degli interessi sia della collettività, sia del singolo cittadino.
“La crisi di funzionamento della giustizia”, ritengono i principali fautori dell’iniziativa, che contempla nelle proprie fila giuristi di prim’ordine, quali Mario Almerighi e Carlo Federico Grosso, “non è addebitabile a spinte esterne di carattere negativo,
bensì trova solidi ancoraggi nell’insufficiente presa di coscienza, da parte della magistratura, del profondo significato costituzionale del proprio autogoverno e delle molteplici implicazioni a tale valore connesse”.
Una concezione fortemente qualitativa delle garanzie di giustizia, individuali e collettive, è dunque l’oggetto d’analisi precipua, l'obbiettivo essenziale, di questo gruppo di studiosi della materia giurisprudenziale
senza necessariamente schierarsi su visioni manichee o preconcettualmente conservatrici dell'autonomia della magistratura, né appiattirsi strumentalmente su versanti polemici particolari.
La ricerca di un dialogo per riuscire a trovare la via di un riformismo in grado di rendere maggiormente efficiente il sistema di giudizio nel nostro Paese risulta, perciò, la costruttiva metodologia propositiva di tale gruppo di studiosi, nella ricerca di un effettivo superamento delle contraddizioni attuali e per un risolvimento sostanziale dei problemi sul tappeto.
In altre parole, Isonomia si impone come un'autorevole riflessione attorno alle garanzie di
maggior sicurezza e giustizia per la collettività, per riuscire a costruire ampie certezze di
giusto processo come principio applicabile in sede empirica, per assicurare
tutele sia per gli imputati, sia per le vittime dei reati, soprattutto nei confronti dei ceti meno abbienti e in favore di una definizione dell’indipendenza e dell’autogoverno della magistratura in un'ottica di
ridisegnamento del ruolo di quest’ultima, così come di quello dell’avvocatura.
Questi gli obbiettivi, i traguardi di massima, di tale organizzazione, che si pone, con estremo grado di onestà, il problema di un ormai urgente
salto di qualità che possa impegnare a fondo tutti gli operatori della giustizia in un serrato confronto intellettuale ed esperienziale circa i numerosi problemi dell'ordinamento, non ultimi quelli relativi agli aspetti più strettamente economici, ovverosia sui costi concreti, dell'apparato giudiziario.
La problematica è strettamente interconnessa con quella dei tempi di durata dei processi, che in Italia si aggirano intorno ad una media temporale di 11 anni a procedimento, causando giustappunto costose disfunzioni.
Nei propri meeting di discussione e dibattito, nei quali si vede la partecipazione costante e fedele di numerosi esperti, magistrati e studiosi di giustizia e di lotta alla corruzione e alla criminalità, come ad esempio
il Prof. Cesare Mirabelli - Presidente Emerito della Corte Costituzionale - Nando Dalla Chiesa, Eligio Resta, Alfredo Galasso, Gianluigi Cassandra, Stefano Zan e Pasquale Liccardo, Isonomia si è sempre rigorosamente posta l'annosa questione della macchinosità processuale del più che caotico "sistema-giustizia" il quale, come a più riprese confermato proprio dal Presidente Emerito della nostra Corte Suprema, “diviene causa di sprechi oltremodo gravosi per le eccessive spese che l’ordinamento deve affrontare persino successivamente al risolvimento stesso dei casi processuali, cioè a procedimenti conclusi”.
La questione, naturalmente, non risulta di natura marginale, tanto che,
il Prof. Stefano Zan, relatore di una recentissima analisi di ricerca dal titolo “Costi inutili e mancanti della funzione giudiziaria”, alla ricerca di innovativi sentieri di riorganizzazione, ritiene ormai di non poter più esimersi dall'indicare “una nuova prospettiva disciplinare e di autocontrollo interno del sistema giudiziario, al fine di verificare le spese della giustizia italiana mediante nuove metodologie di 'costi diretti', maggiormente in grado di garantire trasparenza ed effettivi riscontri".
C'è anche chi si inerpica tra gli scoscesi cammini delle terapie eminentemente strutturali dei problemi, come ad esempio il noto giurista
Pasquale Liccardo il quale, partendo da un'analisi "operaia" dell'ordinamento e alla ricerca di una nuova metodologia di risparmio finanziario tendente a rovesciare i termini del circolo vizioso "tempi-costi", mira ad una vera e propria riconversione industriale dell'ordinamento nella sua globalità attraverso l'introduzione di un uso sistematico delle tecnologie telematiche ("panacea" di tutti i mali, oramai...), oppure ricorrendo addirittura alla vendita 'senza incanto' degli immobili.
Nando Dalla Chiesa, dal canto suo, è mandante di una proposta di risposte "moderniste" ai problemi, suggerendo un più efficace utilizzo di sottosistemi integrativi e di regolarizzazione interna, mentre secondo
Eligio Resta, esperto ben noto per puntualità d'analisi e capacità di sintesi in chiave pragmatica, "si dovrebbe al più presto
imboccare con maggior decisione la strada delle riforme, a cominciare da quella riguardante il ruolo del giudice".
"Troppo facilmente", dichiara nel suo ragionare il relatore di uno studio comparativo su costi e sprechi del nostro sistema giuridico rispetto a quelli degli altri Paesi, "qui in Italia si arriva davanti al giudice per dibattere una questione, quando invece, attraverso reali meccanismi di ricorso a procedure di conciliazione, si potrebbero avere risultati migliori, in sede di giudizio, oltreché rendere il sistema nel suo complesso, più snello e razionale".
Le cause indicate a più riprese sono dunque sempre le medesime: tempi angoscianti di dilatazione delle procedure che non consentono, oltre ad un'accettabile velocità operativa del sistema in sé, un reale abbattimento di costi e spese evitabili.
Il tempo è denaro: questo, in sostanza, il nuovo principio di riforma che appare necessario cominciare ad introdurre.