Barak Obama durante una recente visita in Medio Oriente ha dichiarato: “Se qualcuno di notte lanciasse dei razzi contro la mia casa mentre le mie due figlie stanno dormendo io farei ogni cosa per fermarli e mi aspetto che Israele faccia lo stesso”. È notizia recente l’uccisione di cinque sorelle palestinesi tra i 4 ed i 17 anni, schiacciate dal crollo del tetto della loro camera da letto, di notte mentre dormivano a Jabaliya. Se il consiglio di Barak Obama fosse rivolto a tutti i genitori, la madre ed il padre delle cinque sorelle di Jabaliya si troverebbero legittimati dal neo eletto presidente degli Stati Uniti a imbracciare un fucile o salire su di un carro armato per vendicare chi nella notte ha commesso un’atrocità simile. Peccato, però, che gli autori di questo massacro (perché solo così è possibile definire l’uccisione di quasi 400 persone in meno di una settimana) siano in sostanza autorizzati dall’America e da un Consiglio di sicurezza, che invece di gridare e di prendere seri provvedimenti, sussurra debolmente la sua flebile protesta. La striscia di Gaza è abitata da un milione e mezzo di persone, un milione dei quali registrati presso le Nazione Unite come rifugiati; l’Onu avrebbe il compito ed il dovere di proteggerli ed invece li lascia vivere e morire sotto una pioggia di missili. Un milione e mezzo di abitanti e di rifugiati, non di militanti di Hamas, non di terroristi, un milione e mezzo di uomini donne e bambini, la cui unica colpa è stata quella di nascere nel posto sbagliato, di appartenere ad una religione sbagliata, di vivere dal lato sbagliato del Mediterraneo. Un milione e mezzo di persone cresciute nella povertà, senza una vera casa, senza l’acqua corrente tutte le mattine, senza l’elettricità tutte le notti, ma soprattutto senza la speranza, la possibilità di un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Si lavora solo se Israele non chiude le frontiere. Si mangia, si beve, si ascolta la radio, ci si può curare solo se Israele permette alle merci, ai medicinali, all’acqua e alla corrente elettrica di superare le barriere che essa ha imposto. Certo Hamas lancia razzi dall’altra parte del muro, lì dove la vita scorre normalmente e dove uomini e donne e bambini possono andare a lavorare tutte le mattine con l’auto di famiglia, a scuola, al supermercato, all’ospedale per farsi medicare una sbucciatura, al cinema a vedere l’ultimo colossal, a casa a seguire le partite di calcio in televisione. E quante vite hanno distrutto questi razzi palestinesi? Poche, pochissime. I razzi di Hamas colpiscono il suolo israeliano, non le vite dei suoi cittadini. Sono un gesto di insofferenza, di impotenza e di rancore. La risposta di Israele, la missione “Cast Lead” o Piombo fuso già dal nome evoca distruzione e morte, violenta ed aggressiva, perché “in guerra è normale che anche gli innocenti perdano la vita”. I bambini palestinesi offesi, disperati, arrabbiati, orfani gettano pietre contro i militari israeliani, questi ultimi rispondono con l’artiglieria, con il piombo dei loro proiettili CB. L’operazione israeliana non è certo frutto di una notte insonne del suo consiglio di Stato, ma è frutto di attente strategie, di una meticolosa pianificazione, di piani di disinformazione, di inganni, di raccolta di informazioni, che però sembrerebbero imprecise. Missili guidati, bombe a grappolo, razzi, granate, cannoni e migliaia di proiettili che colpiscono civili, donne e bambini, che casualmente si trovano nella loro mortale traiettoria. David Grossman ha scritto sulle pagine di Repubblica: “Stravincere non serve a nessuno […] Avremo sempre l’occasione di riaprire il fuoco […] la guerra non scappa”. Ci si dimentica che la guerra è ingiusta, che la guerra non dovrebbe esistere, che dovrebbe arrestarsi, da entrambe le parti. Probabilmente dovrebbe essere Israele a compiere il primo passo, Israele che è nazione, Paese, potenza militare dovrebbe comprendere che non è oltremodo sopportabile che ancora oggi milioni di persone debbano vivere in condizioni disumane nella propria terra, su quella stessa terra che è stata la propria patria e la propria casa da millenni. Il fazzoletto di terra che racchiude Israele, la Striscia di Gaza, il territorio palestinese non può e non deve essere proprietà di un solo popolo, del più forte, del più attrezzato militarmente, del più appoggiato politicamente. Perché quel territorio appartiene anche ai musulmani ed ai cristiani che lì hanno sempre vissuto pacificamente da prima del 1946. Di Shoah non si può parlare perché si rischia di essere accusati di antisemitismo, ma io da anni mi pongo sempre la stessa domanda, alla quale però non sono mai riuscita a dare una risposta: perché il mondo occidentale, le potenze occidentali hanno deciso che quella terra sulla quale già risiedevano anche altri popoli, altre religioni dovesse divenire la casa, la nazione di uno solo di questi e che questo stesso popolo, questa stessa nazione fondata unicamente sull’appartenenza religiosa dovesse avere lei sola il diritto di autodeterminazione, lei sola il diritto di stabilire le proprie leggi a danno di tutti gli altri. Che lei sola fosse legittimata a cacciare dalle proprie case, così come le leggi razziali avevano indotto gli ebrei europei a scappare dalle proprie, milioni di uomini donne e bambini la cui unica vera disgrazia era quella di chiamare Dio con un altro nome.