L’artista newyorkese ha presentato nei giorni scorsi alla Festa del cinema di Roma il suo nuovo film western ‘The Dead Don't Hurt’: una pellicola che scombina gli stereotipi del genere, mettendo in risalto una protagonista femminile forte e carismatica
Il regista, attore, pittore, poeta e sceneggiatore, Viggo Mortensen, con la presentazione alla stampa, lo scorso venerdì 18 ottobre, del suo secondo film, ‘The Dead Don’t Hurt’, in distribuzione nelle sale cinematografiche italiane dal 24 ottobre, ha rappresentato uno dei momenti più significativi della diciannovesima edizione della Festa del cinema di Roma. L’attore, che tutti ricordano per il suo ruolo di Aragon nella trilogia de 'Il Signore degli Anelli', ha ottenuto come riconoscimento il Premio alla carriera. Con 'The Dead Don’t Hurt', l'artista torna alla regia dopo l’ottimo ‘Falling: storia di un padre’. Lo abbiamo incontrato a margine della sua 'masterclass' con il pubblico.
Maestro, quando è nata in lei l’idea di fare un film western?
“Ho iniziato a scrivere questo film, questo western, senza sapere che sarebbe stato un western. Durante il lockdown nel 2020 ero in Spagna, a Madrid, che insieme al nord’Italia è stato il posto più colpito dalla pandemia. In quei pochi mesi non potevo partire e non mi potevo muovere a più di 250 metri da casa. Se lo facevi, venivi fermato dalla polizia: potevi andare al negozio più vicino o in farmacia e basta. Oppure, se avevi un cane, potevi uscire. Le persone facevano cose folli, ho visto gente portare a spasso un cane impagliato, una gallina. Ma noi avevamo un cane, quindi uscivo e, visto che potevo fare ben poco altro, leggevo e scrivevo. Ho scritto un paio di storie e 'The dead dont' hurt' è una di queste”.
Un western che vede come protagonista una donna: perché?
“Perché in quella fase ero spesso a casa, in mezzo a libri del ventesimo secolo di mia madre, con copertine rigide e pieni di illustrazioni, storie di cavalieri medievali, di avventura. Ho immaginato come fosse stato crescere per lei, una donna autonoma, forte e indipendente, dalle forti opinioni. E mi sono chiesto dove potessi collocare una donna così. Ho subito pensato al West del diciannovesimo secolo e, di conseguenza, ho deciso di fare un western”.
Tuttavia, è un western atipico, che scompagina molti stereotipi: è così?
“Il film parla di molte cose, in realtà. Però, è vero che si tratta, essenzialmente, di una storia d’amore. È la storia di una donna molto forte e indipendente e delle sue relazioni all'interno della famiglia. Io intendevo sottolineare l’importanza del perdono e dell’accettazione, di una certa umiltà nei rapporti. Sono molto più importanti i rapporti, che l’idea della vendetta”.
E' felice di aver ricevuto questo Premio alla carriera dalla Festa del cinema di Roma 2024?
“Ricevere un premio fa sempre piacere. Ma il cinema è un lavoro di squadra. Dunque, andrebbe premiato anche il valore della collettività nel processo creativo. Quando ho fatto ‘Falling’ avevo già 60 anni. Era tanto tempo che volevo fare un film e non ero impreparato: ho lavorato con tanti bravi registi e ho capito cosa non fare. Ma il cinema è un lavoro collettivo e io credo molto in questo lavoro di gruppo, dove può succedere di tutto. Inoltre, nel fare questo film ero più fiducioso in me stesso e nelle mie scelte”.
Parliamo del personaggio di Vivienne, interpretato da Vicky Krieps e ispirato dalla figura di sua madre: che tipo di donna ha voluto tratteggiare?
“Vivienne è forte, sensibile, vulnerabile e non si sottomette. Il mio punto di partenza non è ideologico: non volevo fare una dichiarazione politica o proporre una mia interpretazione personale sui rapporti tra uomini e donne o cose di questo genere. Ho solo cercato di raccontare una storia. E penso che qualsiasi storia che parli di persone che percepisci e senti come reali, con i loro problemi, le loro differenze di opinione, conflitti, paure ed emozioni, verrà più facilmente collegata al tempo in cui vivi: la tua famiglia, la tua società, il tuo Paese, il tuo mondo, il tuo momento nel tempo. Mi piace questo processo. E mi piace il fatto che, dopo aver fatto il film e dopo averlo presentato a una persona, questo non sia più il mio film, ma il suo film”.
A noi è sembrato di scorgere alcune analogie tra Vivienne e Kamala Harris, la vicepresidente degli Usa, candidata alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre: siamo maliziosi?
“In effetti, io penso che sarebbe un presidente eccellente. Kamala Harris è forte, indipendente e spero che vinca. Oggi, c’è ancora riluttanza a fidarsi delle donne in politica: si pensa che debbano essere toste e cattive come gli uomini. Invece, Vivienne non prende il fucile e non spara ai cattivi: è sensibile. Ma è la più forte di tutti, proprio per la sua sensibilità: più forte di Olsen, più forte di Weston. Sono convinto che Kamala Harris vincerà con i voti dei ceti popolari, proprio come hanno fatto Jo Biden e Hillary Clinton. Ma non so se questo basterà a farla diventare presidente degli Stati Uniiti, a causa di questo nostro sistema elettorale arcaico, che non è a favore del popolo”.