Il
presidente Pd della
commissione Finanze e Tesoro del
Senato della Repubblica, senatore
Luciano D’Alfonso, ha presentato un
emendamento al
decreto fiscale relativo alla
legge di bilancio – emendamento poi
accolto dalla commissione – che costituisce un
grave errore giuridico e un’esecrabile
scelta clericale in materia politica. Non si tratta di un caso: è il tentativo di
correggere la sentenza della
Corte di Cassazione dello scorso maggio, che ha dato ragione
all’Ama spa (il cui socio unico è il
Comune di Roma), che esigeva il pagamento della
Tari, la
tassa sui rifiuti. L’emendamento recita:
“La tassa sui rifiuti di cui all’articolo 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e la tariffa corrispettiva di cui al successivo comma 668, non sono dovute per gli immobili indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato del Laterano dell’11 febbraio 1929". Il
nocciolo dell’emendamento sta qui, a parte il disposto successivo, che giustamente esclude la
retroattività. Il richiamato
comma 639 stabilisce che
“è istituita l'imposta unica comunale, Iuc. Essa si basa su due presupposti impositivi, uno costituito dal possesso di immobili e l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali. La Iuc si compone dell'imposta municipale di natura patrimoniale e di una componente riferita ai servizi, che si articola nella tassa sui rifiuti, la Tari, destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore”. Dunque, è indiscusso che la
Tari sia legata al servizio dei rifiuti
(da qui la
sentenza in
Cassazione a favore
dell’Ama). Ma pur favorire la
Chiesa, il
Pd D’Alfonso ha indotto la commissione a sancire che la
Tari non sia dovuta per gli immobili di cui agli specificati articoli del
Concordato del 1929. Ha solo dimenticato che tutti quegli articoli specificati nell’emendamento
non sono più vigenti, perché abrogati
dall’articolo 13, comma 1, ultimo periodo, del Concordato del 1984. Quindi, non si può neppure sapere a quali immobili si riferisca l’emendamento approvato. Insomma, la
‘libido servile’ è stata frettolosa e ha prodotto un
mostro giuridico. Resta, sotto l’aspetto politico, l’esecrabile
scelta clericale. Esentare, d’ora in avanti, la
Chiesa cattolica dal pagamento del servizio pubblico di
raccolta e smaltimento rifiuti di cui gode, è semplicemente un
ossequio vergognoso a una
parte religiosa, non conforme al dettato costituzionale e non rispettoso
dell’equa fiscalità verso i cittadini. Un comportamento aggravato dal periodo difficile e
dall’emergenza di quel settore nella
città di Roma. Per salvare la dignità delle istituzioni, auspichiamo che un
pasticcio del genere venga escluso dal
‘maxiemendamento’ finale assistito dalla
fiducia, che è previsto concluderà la
manovra di bilancio in
Senato. Sarebbe un gesto di
avvedutezza politica, bello e rassicurante.
Presidente della Federazione dei Liberali italiani