Tra fine giugno e i primi di luglio scrissi due articoli, intitolati ‘Irricevibile’ e 'Irricevibile 2’, a proposito della nota formale consegnata, a nome del Vaticano, dal cardinale Gallagher al nostro ministro degli Esteri italiano circa i contenuti del ddl Zan, giunto in Senato dopo l’approvazione alla Camera, i quali, secondo la nota medesima, “riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato”. Il primo articolo affermava che la risposta italiana alla nota (secondo la quale il Concordato determinerebbe le scelte delle Camere) avrebbe dovuto consistere nella parola “irricevibile”, poiché non dirla avrebbe compromessa l’autonomia del Senato nel decidere. Il secondo articolo prendeva atto che le dichiarazioni dei ‘renziani’ di Italia Viva rendevano evidente che il ddl Zan non aveva i voti e che una decisione del Senato, sotto l’incombere della nota verbale del Vaticano, sarebbe stata distorcente, qualsiasi ne fosse stato l’esito. I ‘perdenti’ avrebbero attribuito la sconfitta all’ingerenza della Chiesa in un senso clericale o nell’altro, anticlericale. Il ministro degli Esteri – nonostante il presidente del Consiglio avesse già sottolineato, in Senato che “il nostro è uno Stato laico, non confessionale” – è rimasto immobile e prigioniero dei suoi burocrati. L’ennesima riprova che il M5S, utilissimo nel 2018 nello spezzare la 'catena' del modo di governare contro i cittadini della sinistra e della destra, non riesce, per mancanza di cultura ed esperienza, a compiere scelte davvero coerenti a favore dell’affidarsi ai cittadini. L’immobilismo del ministro non ha liberato il Senato dal macigno incombente. Così, a fine ottobre, la decisione dell’aula di bloccare l’esame del ddl Zan ha innescato, da parte del Pd, M5S e Leu alti lamenti per l’arretramento civile anche su spinta vaticana. Ciò è molto negativo, perché fa apparire l’Italia un Paese a sovranità limitata rispetto al clericalismo. Il che, nel 2021, è un difetto davvero imbarazzante. Per di più, non dichiarare la ‘irricevibilità’ della nota di monsignor Gallagher ha aperto la strada a un secondo grave spregio delle pratiche della democrazia rappresentativa. Il gruppo dei 'guardiani' del testo Zan (a cominciare dallo stesso Zan e dalla senatrice Cirinnà, che hanno convinto il segretario del Pd, dallo scorso luglio fino a tre giorni pima il voto, a escludere ogni trattativa sul testo) non ha voluto tener conto dei rapporti di forza in Senato e, invasati dalla propria tracotanza nel rifiutare la realtà, hanno preteso di imporre la propria assurda tesi iliberale. Vale a dire che enunciare un’intenzione - nel caso il laicissimo principio di chiedere una norma che favorisca il rispetto per la diversità e impedisca l’odio e le discriminazioni - sia sufficiente per fare una legge in tal senso. Non è così: se una legge non ha un testo e un meccanismo coerenti con il suo intento, quell’intento si dissolve e può persino contraddirsi. Ed era, appunto, il caso del ddl Zan, che nelle definizioni e nelle premesse conteneva alcuni aspetti contraddittori ai limiti della incostituzionalità, oltre che estranei agli obiettivi enunciati. Aspetti ritenuti tali da svariati gruppi di senatori e non solo della destra. Stante la situazione, la fisiologica prassi della democrazia rappresentativa avrebbe chiesto una trattativa tra le due parti per gli opportuni aggiustamenti del testo del ddl Zan, cosa che il segretario del Pd ha chiesto solo all’ultimo ‘tuffo’, quasi per forma. Ma trattare doveva significare disponibilità ad accogliere le modifiche richieste. Invece nulla. I 'guardiani' del ddl Zan si ritengono depositari dell’unica verità: un criterio sempre errato, in giurisprudenza, ancor più se non si ha la forza per imporlo. I ‘guardiani’ hanno perso nel confronto parlamentare per 23 voti, ma valutazioni assai realistiche indicano che, rispetto ai gruppi dei votanti alla Camera, in realtà è mancata una quarantina di voti, considerati gli aiuti venuti da Forza Italia. Eppure, neanche la disfatta ha indotto i ‘guardiani’ a più miti consigli. Infatti, domenica 31 ottobre, il quotidiano ‘la Repubblica’ ha pubblicato una surreale intervista all’on. Zan, che ha toccato le questioni del mondo ed eludeva i limiti del testo del progetto di legge, individuati pure da ambienti della sinistra, degli omosessuali e del femminismo, giungendo ad affermare che continueranno a portare in parlamento la voce delle piazze. Sempre eludendo la questione essenziale: quale testo dare alla legge? L’ultimo quadrimestre della vicenda relativa al ddl Zan ha messo a nudo gravi limiti tra i parlamentari, che non sono solo il comportamento da stadio del centrodestra dopo lo scatto della ‘tagliola’, episodio esecrabile, ma di scarso peso effettivo. E’ soprattutto la cultura del voler imporre le proprie posizioni a prescindere dal confronto e dei punti di vista diversi, rifiutando l’idea liberale per cui un principio concettuale aperto ai cittadini funziona solo se si traduce in un testo di legge coerente con la cornice della Costituzione. Emerge sempre più con chiarezza come sia indispensabile che, anche in Italia, si formi una formazione delle libertà, nel nome e nei comportamenti, che spinga la maggioranza (i non liberali e gli illiberali) ad adottare il metodo laico quale ‘bussola’ nell’incentrarsi sul cittadino e il suo relazionarsi individuale.