Raffaello MorelliGli italiani dovrebbero riflettere più attentamente circa la freddezza con cui le grandi testate, cartacee, social e tv, hanno trattato la notizia, risalente al 14 luglio scorso, circa il ‘lancio’, da parte della Commissione Ue, del programma ‘Fit for 55’, che ha l’obiettivo di ridurre le emissioni nette a zero nel 2050 passando, entro il 2030, a livelli non superiori al 55% di quelli del 1990. Una freddezza ben strana, se paragonata all’eccitazione con cui, nella stessa materia - l’inquinamento ambientale - sono stati esaltati per mesi i proclami della 'stella' mediatica, Greta Thunberg. Oltretutto, visto che la Commissione Ue aveva da tempo annunciato un lancio del genere. E visto, inoltre, che sarà esaminata dal parlamento europeo questa proposta che ridisegna il mercato delle emissioni, la tassa sul carbonio alla frontiera (Cbam), le direttive su energia, trasporti, tributi, insomma il funzionamento dell’economia. Anche con l‘obiettivo dell’indipendenza energetica europea. Tra l’altro, le medesime grandi testate hanno già iniziato a ospitare le reazioni critiche all’iniziativ,a espresse da associazioni di Confindustria e anche dal ministro Cingolani, tutte in vario modo preoccupate dei costi dell’operazione, destinati a cadere sulla competitività di ogni azienda toccata e, quindi, sugli italiani. Le riflessioni su questa strana freddezza dovrebbero partire dal considerare che ‘Fit for 55’ è una sorta di cornice per ottenere i soldi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) e, dunque, a cui l’Italia deve adempiere anche solo per questo. Oltre tale aspetto di metodo, già determinante di per sé, c’è poi quello del merito (altrettanto cogente). Se gli impianti operativi, in Italia, producono un eccesso di Co2 rispetto ai parametri stabiliti dalla Commissione Ue, questo eccesso va ridotto per farlo rientrare nei limiti, senza tergiversare e senza ipocrite furbizie tecniche. Farlo non significa avallare un presunto dirigismo della Ue, bensì seguire i classici principi della libera conoscenza del mondo. L’inquinamento da Co2, infatti, è pericoloso per la salute  dei cittadini e provoca forti costi per le cure rese necessarie. Né ha senso invocare dati veri (tipo che, a livello mondiale, l’Ue contribuisce all’inquinamento da Co2 per una quota che si aggira intorno al 16/17% circa), senza affrontare la sfida. Intanto, perché la salute dei cittadini è soprattutto insidiata dalla Co2 prodotta nelle nostre zone; e, in ogni caso, perché l’Ue, con il ‘Fit for 55’, punta a trainare anche gli Usa. E insieme, la Ue e gli Usa finiranno per trainare anche i grandi inquinatori: Cina, Russia e India. Staremo tutti meglio applicando la conoscenza, non arrampicandoci sugli specchi per inquinare più degli altri. Porsi l’obiettivo di ridurre l’inquinamento comporta accelerare sulla decarbonizzazione. Dunque, secondo il ‘Fit for 55’, operare una riduzione del 4,2% all’anno e un taglio netto alle quote di inquinamento finora “a titolo gratuito” (per mantenere la competitività delle industrie europee). Appunto per questo, dal 2026 ci sarà il Cbam, per far pagare agli importatori il carbonio prodotto oltre la frontiera. E, cosa decisiva, per accelerare sulla decarbonizzazione verrà creato (oltre ai vari accorgimenti) un fondo sociale per otto anni (2025-2032) valutabile attorno ai 72 miliardi di euro, per ammortizzare i nuovi costi. Tutto ciò finalizzato ad attivare la  ‘transizione’, mettendo al riparo, nel farla, le fasce più deboli dei cittadini. Come si vede, non hanno molto senso la fredda ritrosia e  le critiche alla proposta ‘Fit for 55’. Specie se sono indotte – e qui sta il ‘nodo’ della riflessione –  non da valutazioni circa la natura della proposta, ma piuttosto dal tentativo di sfuggire al dover mutare abitudini consolidate (e relativi privilegi) nella tipologia degli impianti adoperati in Italia. Al momento, tali impianti – siano le raffinerie Eni o quelli di trattamento rifiuti appartenenti a varie imprese – rilasciano nell’atmosfera un forte miscuglio di Co2 e gas tossici. Ed è evidente che ridurre tali emissioni non si ottiene con artifici elusivi della sostanza tecnologica del problema (quali voler catturare in via stabile le emissioni inquinanti, che restano). Insomma, il ‘Fit for 55’ spinge a rinnovare, in modo drastico e il prima possibile, la tecnologia, così da produrre una minor quantità di emissioni inquinanti. Non vanno gonfiate le ritrosie e le critiche di chi vuol conservare vecchie abitudini e privilegi. Utilizzando gli strumenti già previsti dall’Unione europea, il ministro per la Transizione ecologica deve impegnarsi a spezzare le resistenze, a innovare la tecnologia degli impianti e la mentalità delle burocrazie, che rimangono il freno alla ripresa italiana.




Presidente della Federazoone dei liberali italiani

Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio