Gli italiani dovrebbero riflettere più attentamente circa la
freddezza con cui le
grandi testate, cartacee, social e
tv, hanno trattato la notizia, risalente al
14 luglio scorso, circa il
‘lancio’, da parte della
Commissione Ue, del programma
‘Fit for 55’, che ha l’obiettivo di ridurre le
emissioni nette a
zero nel
2050 passando, entro il
2030, a livelli non superiori al
55% di quelli del
1990. Una
freddezza ben strana, se paragonata all’eccitazione con cui, nella stessa materia - l’inquinamento ambientale - sono stati esaltati per mesi i proclami della
'stella' mediatica,
Greta Thunberg. Oltretutto, visto che la
Commissione Ue aveva da tempo annunciato un lancio del genere. E visto, inoltre, che sarà esaminata dal
parlamento europeo questa proposta che ridisegna il
mercato delle emissioni, la
tassa sul
carbonio alla frontiera (Cbam), le
direttive su
energia, trasporti, tributi, insomma il funzionamento
dell’economia. Anche con l‘obiettivo
dell’indipendenza energetica europea. Tra l’altro, le medesime grandi testate hanno già iniziato a ospitare le
reazioni critiche all’iniziativ,a espresse da associazioni di
Confindustria e anche dal
ministro Cingolani, tutte in vario modo preoccupate dei
costi dell’operazione, destinati a cadere sulla competitività di ogni azienda toccata e, quindi, sugli italiani. Le riflessioni su questa strana
freddezza dovrebbero partire dal considerare che
‘Fit for 55’ è una sorta di cornice per ottenere i soldi del
Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) e, dunque, a cui
l’Italia deve adempiere anche solo per questo. Oltre tale aspetto di metodo, già determinante di per sé, c’è poi quello del
merito (altrettanto cogente). Se gli impianti operativi, in
Italia, producono un eccesso di
Co2 rispetto ai parametri stabiliti dalla
Commissione Ue, questo eccesso va ridotto per farlo rientrare nei limiti, senza tergiversare e senza ipocrite furbizie tecniche. Farlo non significa avallare un presunto
dirigismo della Ue, bensì seguire i classici principi della libera conoscenza del mondo. L’inquinamento da
Co2, infatti, è pericoloso per la salute dei cittadini e provoca forti costi per le cure rese necessarie. Né ha senso invocare dati veri (tipo che, a livello mondiale,
l’Ue contribuisce all’inquinamento da
Co2 per una quota che si aggira intorno al
16/17% circa), senza affrontare la sfida. Intanto, perché la
salute dei cittadini è soprattutto insidiata dalla
Co2 prodotta nelle nostre zone; e, in ogni caso, perché
l’Ue, con il
‘Fit for 55’, punta a trainare anche gli
Usa. E insieme, la
Ue e gli
Usa finiranno per trainare anche i grandi inquinatori:
Cina, Russia e
India. Staremo tutti meglio applicando la
conoscenza, non arrampicandoci sugli specchi per
inquinare più degli altri. Porsi l’obiettivo di ridurre l’inquinamento comporta accelerare sulla
decarbonizzazione. Dunque, secondo il
‘Fit for 55’, operare una riduzione del
4,2% all’anno e un taglio netto alle quote di inquinamento finora
“a titolo gratuito” (per mantenere la competitività delle industrie europee). Appunto per questo, dal
2026 ci sarà il
Cbam, per far pagare agli importatori il
carbonio prodotto oltre la frontiera. E, cosa decisiva, per accelerare sulla
decarbonizzazione verrà creato (oltre ai vari accorgimenti) un fondo sociale per otto anni
(2025-2032) valutabile attorno ai
72 miliardi di euro, per ammortizzare i nuovi costi. Tutto ciò finalizzato ad
attivare la ‘transizione’, mettendo al riparo, nel farla, le fasce più deboli dei cittadini. Come si vede, non hanno molto senso la
fredda ritrosia e le critiche alla proposta
‘Fit for 55’. Specie se sono indotte – e qui sta il
‘nodo’ della riflessione – non da valutazioni circa la natura della proposta, ma piuttosto dal tentativo di sfuggire al dover
mutare abitudini consolidate (e relativi privilegi) nella tipologia degli
impianti adoperati in
Italia. Al momento, tali impianti – siano le
raffinerie Eni o quelli di trattamento
rifiuti appartenenti a varie imprese – rilasciano nell’atmosfera un forte miscuglio di
Co2 e
gas tossici. Ed è evidente che
ridurre tali emissioni non si ottiene con
artifici elusivi della
sostanza tecnologica del problema (quali voler
catturare in via stabile le
emissioni inquinanti, che restano). Insomma, il
‘Fit for 55’ spinge a
rinnovare, in modo drastico e il prima possibile, la
tecnologia, così da produrre una minor quantità di
emissioni inquinanti. Non vanno gonfiate le ritrosie e le critiche di chi vuol conservare vecchie abitudini e privilegi. Utilizzando gli strumenti già previsti
dall’Unione europea, il
ministro per la Transizione ecologica deve impegnarsi a spezzare le
resistenze, a
innovare la tecnologia degli impianti e la
mentalità delle burocrazie, che rimangono il
freno alla
ripresa italiana.
Presidente della Federazoone dei liberali italiani