Il
Governo Draghi ha giurato. Quindi, si può dare un primo
giudizio sul come ci si è arrivati e sulla sua
composizione, nonché riflettere sulla sua presumibile
durata. Al
Governo Draghi si è arrivati con un percorso assai rispettoso delle procedure della
Costituzione. E’ bene che siano state sconfitte le
manovre al di sopra del parlamento, avallate per troppo tempo dai mezzi di comunicazione. Il
Governo Draghi è nato dalle dimissioni del
Governo Conte 2 - tuttora con la
fiducia delle
Camere - in base alle sagge indicazioni del
presidente Mattarella, nel pieno esercizio del suo ruolo e ha poi preso forma nello stile
dell’ex presidente della
Bce, che predilige l’agire al fare
discorsi roboanti. Così, la sua vasta esperienza tecnica, congiunta a una dimostrata sensibilità nel valutare gli impatti sui cittadini delle scelte economiche – comprovata nel
salvataggio dell’euro all’insegna dell’impostazione più coerente dei
valori Ue, che ha sconfitto
l’austerità – è riuscita a dar vita a un governo in piena continuità politico-culturale con il precedente
(l’onorevole Meloni ha già constatato che nel
Governo Draghi c’è più di mezzo
Governo Conte 2). Per un giudizio sulla composizione del
Governo Draghi occorre, pertanto, una premessa: il valore effettivo lo darà la sua effettiva capacità di
essere ‘squadra’. Lo sguardo ai nomi dei ministri consente, però, alcune valutazioni. Intanto, smentendo i fautori della discontinuità, è un governo con più
ministri politici (15) che
tecnici (8) e un minor peso delle
donne rispetto al
Conte 2 (il
genere va coniugato con la
competenza e non è un valore in sé). Inoltre, ci sono due consistenti e caratterizzanti impegni politici: un rinnovato ruolo al
ministero per la Transizione ecologica (cioè impresa e cantieri devono aver consapevolezza dei
riflessi ambientali) e la volontà di realizzare la
transizione digitale nella
Pubblica amministrazione e nella
struttura imprenditoriale. Impegni affidati a due tecnici di rilievo: il
fisico Cingolani, suggerito da
Grillo e il
manager Colao, già utilizzato da
Conte nella tarda primavera del
2020, per preparare il piano di rilancio economico, poi non attuato per le resistenze burocratiche. Comunque, il fatto più significativo nel
Governo Draghi è l’assenza di incarichi in
‘tema-Ue’. La qual cosa significa che della materia se ne occuperà il
presidente del Consiglio. In prima persona – visto che lui è un convinto assertore dei valori del
‘progetto civile Ue’, nonché parte della ristrettissima schiera di esperti dei suoi meccanismi – e con la collaborazione dei
ministri economici, persone a lui molto legate già prima. Non è insignificante anche la scelta di ministri politici:
rivali sì, ma tutte personalità che nei rispettivi gruppi (anche quello sovranista) svolgono l’attività politica in un quadro
moderato ed
europeista. Infine, una riflessione sulla presumibile
durata del nuovo esecutivo. Non se ne parla (nell’illusione che le novità siano eterne), ma è il vero
‘convitato di pietra’. Anche perché, la
durata si interseca con la scadenza di
Mattarella, tra neppure un anno. Da una parte, l’interrogativo è sulle
tensioni per le
insoddisfazioni politiche: come reagirà la
sinistra barricadiera? Peseranno i protestatari del
M5S gonfiati dai media contro
Grillo? Come motiverà il
Salvini a spasso e la
radicale svolta della
Lega? Dall’altra parte, è verosimile che il
governo durerà finché
Draghi avrà materia per svolgere il suo compito nell’agevolare il
‘Recovery Plan’, mediante programmi italiani adeguati a finanziare la
transizione all’economia ambientale e
l’innovazione digitale. Sulla
durata, insomma, più che i numeri precisi penso valga il criterio usato nelle ricette di cucina:
durerà quanto basta.
Presidente della Federazione dei liberali italiani