Il
cinquantenario della
Legge n. 898 del
1° dicembre 1970 sullo
scioglimento del matrimonio non può essere un rito della memoria e basta: fu un
cambiamento epocale dei rapporti tra i sessi che è vivo ancora oggi. Ma perché e come ci si arrivò? Il perché fu il voler introdurre i
caratteri di civiltà del nuovo istituto. I nemici furono
l'arretratezza di ampie fasce della società e le
fantasiose paure secondo le quali il
divorzio avrebbe
disgregato la famiglia. Si trattò di convincere i cittadini che non si può
stabilire 'a tavolino' come va la vita: un
matrimonio fallito non si aggiusta stabilendo per legge che non si può
correggere l'errore. Non sciogliere un
rapporto malato crea una società con
chiaroscuri medioevali, dove vige il
conformismo deteriore delle
apparenze. La
civiltà laica, invece, si basa su rapporti trasparenti tra individui diversi. Si arrivò, così, alla
Legge n. 898/1970 costruendo un
'divorzio serio', con garanzie atte a evitarne ogni abuso e porre un rimedio dopo le decisioni coniugali. Fu un farmaco salutare per impedire il protrarsi
dell'ipocrisia, del ricorrere ai
meschini sotterfugi. Del resto, anche per i
figli, il penoso spettacolo degli
inganni reciproci non era un ambiente adatto a una formazione equilibrata. Un
'divorzio serio' era sicuramente preferibile all'ipocrisia del
'divorzio all'italiana', fatto di
violenza e
doppiezze. E non avrebbe creato, come non creò, divisioni di natura religiosa. Il percorso della legge fu accidentato. Oltre alle iniziative di
Fortuna e
Baslini, per oltre un anno solo il
Pli scelse la
linea divorzista: il
Psi non appoggiava
Fortuna (lo farà solo dall'autunno del
1968 in poi...); il
Pci esibiva una fredda ostilità; la
Dc e
l'Msi erano contrari (e con una compattezza superiore a quella ecclesiale). Poi, con un'azione capillare seguita dalla stampa - con l'aiuto dei settimanali
'Abc' e
'l'Espresso' - e con la spinta di alcuni gruppi della società, come la
Lega italiana per il divorzio e una selva di associazioni locali di cittadini
socialisti, liberali e
radicali, il progetto di legge unificato
'Fortuna-Baslini' conquistò la maggioranza in
parlamento. In tutto il percorso, fu seguita la linea delle idee riferite alla vita di tutti i giorni e dei principi politici da adottare per realizzarle. Ebbe successo prima in
parlamento e, tre anni e mezzo dopo, al
referendum, contro le previsioni non solo della
Chiesa e della
Dc, ma persino del
Pci: le prime due erano
convinte, mentre il terzo temeva che il
parlamento non rappresentasse davvero la
volontà dei cittadini. Invece, la maggioranza nelle urne fu perfino
più ampia di quella
parlamentare. In seguito, gli aggiustamenti alla legge ne hanno irrobustito l'impianto. E oggi, persino gli
avversari di allora riconoscono l'importanza di averla introdotta. L'insegnamento da trarne è che la forza della
linea civile laica è il suo rimanere sempre focalizzata sulla
realtà del vivere individuale e sul fare leggi capaci di
formare rapporti aperti di libertà. Mai la
linea civile laica può voler stabilire per i cittadini un
'dover essere' ideologico. E' il
punto essenziale. Purtroppo, è anche un
punto trascurato, in specie dai
mezzi di comunicazione: stampa, tv e
social. Si omettono i fatti reali in nome della frenesia di
'notizie-bomba', del ridurre la vita a spettacolo. Una
pessima tendenza che iniziò nel decennio successivo a quel
1° dicembre 1970, quando i
mezzi di comunicazione instillarono la convinzione, falsa, che
divorzio e
aborto fossero
opera dei radicali, i quali, all'epoca,
non erano in parlamento e, quanto
all'aborto, non furono mai
favorevoli alla
Legge n. 194/78, contro la quale votarono
'No' in
parlamento e
'Sì' per
abrogarla al referendum del
1981. Da qui è iniziata a diffondersi l'idea che
non conti il parlamento, ma ciò che si presume vogliano le
'piazze' e i
mass media.
Presidente della Federazione dei Liberali itaiiani