Ilaria Cordì"Favorire il cambiamento partendo dalla cultura: ecco perché chiediamo che l'educazione all'affettività diventi materia di studio. Per questo motivo abbiamo lanciato  una petizione sulla 'piattaforma' Change.org che si chiama #iocimettolafaccia, con la quale invitiamo tutti, uomini e donne, a rendersi parte attiva per combattere la violenza di genere. Il cambiamento inizia da Tor Bella Monaca e speriamo che possa arrivare molto lontano". Con queste parole, Stefania Catallo, presidente del centro antiviolenza 'Marie Anne Erize' e Ambasciatrice del Telefono Rosa, apre un nuovo corso per il contrasto alle violenze e ai femminicidi, che ogni anno registrano numeri altissimi. "Non si può e non si deve aspettare che la soluzione arrivi dall'alto: dobbiamo attivarci tutti per porre fine a questo triste fenomeno. Abbiamo iniziato lo scorso anno, portando la testimonianza di un 'ex matrattante', al fine di dimostrare che cambiare è possibile. L'educazione al rispetto parte dalla famiglia e passa attraverso la scuola", continua la Catallo. Tra i primi firmatari, spiccano nomi del teatro, della musica e del sociale. "La cultura", aggiunge la scrittrice, "deve essere mezzo privilegiato per il cambiamento: tra i primi firmatari della petizione ci sono, infatti, giornalisti, scrittori, esperti di comunicazione, educatori e tanti altri che ogni giorno si impegnano nel loro ambiente, che può essere un teatro, una sede sindacale, una moschea o un palcoscenico musicale". La presentazione ufficiale della petizione si terrà venerdì 13 gennaio 2017, alle ore 10.00, presso l'Aula Magna del Liceo scientifico 'E. Amaldi', dove si potrà firmare e scattare una foto di supporto alla petizione.


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Giorgio Salerno - Roma - Mail - giovedi 12 gennaio 2017 17.8
Non mi attendevo da parte sua una tale caduta di stile. Risulta evidente che lei sia profondamente convinto di quel che scrive, ma questo non l’esimeva dal riconoscere di aver compiuto un errore palese. Era semplice. Sarebbe bastato iniziare con qualcosa del tipo: «Effettivamente, il dato da lei esposto non fa riferimento ai soli omicidi… ecc. [magari seguito da una scusa qualsiasi come, ad esempio, la mole degli impegni di un direttore]».
Non conoscendo né lei, né l’associazione Phoenix (spero che ciò non costituisca una colpa infamante) non vedo sostanziali argomenti per dare più autorità ai numeri che lei fornisce che a quelli del Ministero, i quali, almeno, hanno proprio il difetto di essere “ufficiali”.
Sulle sue altre esternazioni, non me la sento di esprimere un parere e la lascio alla sua nobile ed encomiabile battaglia per cambiare le «più infami e incivili consuetudini» del popolo italiano.
Gabriele Ciampi - Firenze / Italia - Mail - mercoledi 11 gennaio 2017 21.55
Educazione civica, educazione alimentare, educazione stradale, educazione sessuale. Ora anche educazione all'affettività. La competenza della scuola attiene allìistruzione, non all'educazione. Vedi la dicitura "Ministero della Pubblica Istruzione". Oltre ad essere un errore devastante quanto ai contenuti, forse c'è di mezzo anche un comunissimo vizio nazionale, quello dell'italiano lingua servile. "Education" si traduce con "insegnamento", "istruzione". La parola italiana "educazione" si traduce piuttosto con "politness". E via con il caos semantico! Ma non è questo il problema - quei temi essendo effettivamente forme di "educazione". La conseguenza devastante è un'altra: sottrarre sempre più ore allo studio della grammatica, della sintassi, della matematica, significa ridurre l'esercizio della funzione logica - la quale costituisce lo strumento primario del pensiero critico (e autocritico) e dovrebbe essere, quindi, l'obiettivo formativo fondamentale. Disponendo di questo strumento ed essendo allenati ad usarlo coerentemente, l'essere umano diventa capace di mettere in discussione i modelli di comportamento lesionistici e auto-lesionistici. A questo punto le varie "educazioni" (intese in senso lato) possono essere interiorizzate consapevolmente - e non come passivo indottrinamento o ammaestramento etologico. Esse potranno comunque essere trasmesse, fuori della scuola, dalle istituzioni sociali pubbliche e private senza ridurre la funzione formativa basilare della scuola causata da decurtazioni di orario ai danni delle materie formative logico-razionali. Al massimo, a scuola, e con la partecipazione dei genitori, si potrebbe dedicare un pomeriggio al mese a quelle "educazioni" di cui si invoca la supremazia da parte soprattutto di chi non ha fatto un'ora da insegnante in vita sua - come per esempio i pedagogisti. Oltre a questo, mi dispiace vedere che - in questo sito laico - c'è sempre meno contenuto laico, ma si proclamano assertivamente pregiudizi ideologici autogratificanti. Forse, chissà, sarà un po' anche colpa della scuola che non sviluppa più a sufficienza quelle capacità sopra citate. Grazie per l'attenzione. Un saluto. Gabriele Ciampi
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - mercoledi 11 gennaio 2017 20.7
RISPOSTA AL SIG. SALERNO N. 2: sono talmente disinformato da averle citato dati raccolti, due anni or sono, dal mio comitato scientifico. Numeri che sono ben diversi da quelli inviati dal ministro degli Affari Interni, il quale, come lei stesso riferisce, fa riferimento generico agli omicidi e alle violenze di genere, poiché la relazione da lei citata accompagnava i dati complessivi del 2013, contestando una precisa campagna di stampa alla quale ho partecipato anche personalmente. Siamo talmente disinformati da respingere non soltanto la sua assurda considerazione di donne che assassinerebbero o maltratterebbero il 60% degli uomini, vittime di "maschicidi" e violenze sessuali da parte delle donne, bensì anche quelli del ministro degli Interni: ma guarda un po'. E' quantomai evidente che quello da lei capziosamente evidenziato sia un dato non disaggregato. Così come è del tutto pacifico che i reati non siano mai tutti uguali e non si possano sommare come se fossero tutti della medesima gravità, avessero lo stesso movente e fossero caratterizzati dalla stessa tipologia e dinamica. Pertanto, non ci venga a dire, per favore, con la deriva demagogica che c'è in giro, che lei crede a una relazione politica tendente a minimizzare numeri che erano - e sono - sotto gli occhi di tutti. Non ce lo scriva, per favore... E non ci venga nemmeno a dire che lei crede alle verità ufficiali anziché a quanto, con un certo sforzo professionale, scoprono i giornalisti dietro le 'maglie' dell'informazione ufficiale: non ce lo venga a dire, per favore, perché non ci fa affatto una bella figura. Aveva ragione Luciano Bianciardi, di cui le cosiglio un'approfodita lettura: in Italia si è liberali solo a parole, poiché non si distingue mai nulla, per antico retaggio assolutista: "In Italia, tutto entra a far parte della solita zuppa...", scrisse nel 1965 questo magnifico collega. E, da allora, ben poco è cambiato. Cordiali saluti. VL
Giorgio Salerno - Roma - Mail - mercoledi 11 gennaio 2017 15.23
Egregio Direttore, debbo respingere con un certo sdegno l’accusa di tendenziosità. Il Ministero dell’Interno, nell’esporre quelle cifre, non fa riferimento come lei pensa ai soli omicidi, ma in modo esplicito
«alle vittime dei delitti rientranti nella generica accezione di violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti, percosse, violenze sessuali ecc)».
Io non penso che Lei sia stato tendenzioso, ma disinformato sì.
Cordialmente,
Giorgio Salerno
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - mercoledi 11 gennaio 2017 5.47
RISPOSTA AL SIG. SALERNO: gentile lettore, mi dispiace farle notare che il dato da lei esposto, risalente a una relazione del Viminale al parlamento del 2014, fornito in tal modo è tendenzioso: 1) innanzitutto, esso fa riferimento al solo reato di omicidio, mentre la società continua a registrare donne riempite di botte ogni giorno. Donne le quali, per non distruggere il rapporto affettivo o familiare, o per semplice paura di ritorsioni, non denunciano le violenze che subiscono quotidianamente. Ciò è comunque significativo dell'impostazione maschilista dell'ordine sociale costituito; 2) non si può racchiudere un fenomeno solamente sotto un'unica fattispecie penale, poiché gli omicidi non si calcolano unicamente sotto il profilo quantitativo, bensì sulla base di cause e moventi. La qual cosa significa che, se anche fosse reale il dato che lei fornisce, quelli che lei definisce, in maniera scorretta, "maschicidi" non sono affatto delitti commessi da donne contro uomini, bensì da uomini contro altri uomini; 3) infine, le faccio presente che, secondo le ultime stime raccolte dall'associazione culturale Phoenix, che umilmente presiedo, le donne in Italia sono state, nel 2014, circa il 40% delle vittime di omicidio. Omicidi che, in questi casi, si chiamano "femminicidi", poiché oltre a essere un fenomeno in costante aumento, anno dopo anno (circa il 15% in più solo nel 2014), di certo non significa, in automatico, che il restante 60% di persone uccise sia risultata vittima di violenze da parte delle donne. I casi da lei tendenziosamente suggeriti sono rarissimi: generalmente, le donne italiane che commettono reati, raramente uccidono qualcuno. E ancor più raramente il proprio compagno di vita o un membro qualsiasi del proprio nucleo familiare. La verità è che si tende a negare il fenomeno, poiché si vorrebbe mantenere l'impostazione sessista e fondamentalmente razzista della società italiana. Ma rigirarsi sempre i numeri, come se questi fossero tutti uguali e appartenessero tutti alla stessa "insalatiera" è ciò che generalmente caratterizza società arretrate e ingiuste, che non intendono modificare nulla delle proprie consuetudini non scritte, persino quelle più infami e incivili. Cordiali saluti e infiniti ringraziamenti. VL
Giorgio Salerno - Roma - Mail - mercoledi 11 gennaio 2017 2.56
Gentilissima Ilaria,

penso che il mio amico direbbe (non credo di aver bisogno d’interpellarlo) che se i numeri sono corretti, e non si vede perché non dovrebbero esserlo, bisognerebbe parlare, invece che di “femminicidio”, di “maschicidio”, per cui si sentirebbe un po’ discriminato dalla volgata corrente. E, sic stantibus rebus, anch’io, che non per mia colpa, appartengo al genere maschile, forse avrei la tentazione di uniformarmi al suo sentire.

Insomma, mi sembra un bel pasticcio.

P.S. Grazie al cielo, l’omicidio è giustamente punito con l’ergastolo, indipendentemente dal sesso della vittima. Non credo che la stessa pena possa essere applicata agli altri comportamenti assimilabili alla violenza di genere senza andare contro il principio giuridico che la pena debba essere proporzionata al crimine. Per quanto grave possa essere un delitto (anche al di là dell’ambito di cui parliamo), non sarà mai equivalente all’omicidio. Questo, infatti, annulla la vita di una persona, presupposto di qualsiasi altro diritto.

Cordialmente,
Giorgio Salerno
Ilaria Cordì - Roma - Mail - martedi 10 gennaio 2017 11.37
Caro Giorgio, innanzitutto ti ringrazio per il tuo commento e per l'importante testimonianza che ci ha lasciato. Non è stata presa assolutamente come una provocazione, anzi ci ha dato modo di riflettere anche per un possibile approfondimento in merito. Disgraziatamente non esiste un modo giusto per rispondere a quanto lei riportato, poiché è alquanto deprimente il fatto che il femminicidio, ad oggi nel 2017, non sia ancora considerato un reato punibile con l'ergastolo, ma soprattutto che un Ministero risponda ai propri cittadini in tal maniera.

Spero che la risposta sia stata esauriente e la ringrazio ancora per aver detto la sua.

Ilaria Cordì
Giorgio Salerno - Roma - Mail - lunedi 9 gennaio 2017 23.10
La prego di non prenderla come una provocazione, ma forse lei è una persona in grado di dirmi quale sia la risposta corretta all’obiezione che mi è stata fatta e che ho verificato essere veritiera. La riporto senza esprimermi:

«Il femminicidio, al di là dei casi specifici anche tragici con i quali possiamo venire in contatto, non esiste se inteso come termine rappresentativo del fenomeno sociale di violenza di genere nel quale è presumibile che la più debole (la donna) venga uccisa dal più forte (l’uomo). Non è il termine femminicidio ad essere errato, è il fenomeno a non esistere statisticamente. Basta leggere la Relazione al Parlamento del Ministero dell’Interno 2014 sull’«Attività delle forze di Polizia…». A pag. 72 si trova un grafico da cui si ricava che la maggioranza delle vittime della violenza di genere nel 2014 è costituita dagli uomin1, 51,11% contro il 48,89.»

Ho verificato personalmente ed effettivamente la Relazione del Ministero dell’Interno relativa all’analisi statistica delle vittime dei delitti rientranti nella accezione di violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti, percosse, violenze sessuali ecc) riporta questo dato. Per cui l’affermazione va considerata veritiera e l’obiezione del mio amico va considerata “robusta”. Che assurdamente il testo che illustra la statistica dica il contrario di quel che dicono i numeri, per me rimane un mistero di patologia sociale.

Il link al documento pdf:
http://www.interno.gov.it/sites/default/files/relazione_al_parlamento_2014.pdf


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