Ilaria CordìIl 23 febbraio scorso, presso il dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università di Roma Tre, abbiamo partecipato al primo incontro di un interessante progetto in cui si studiano gli strumenti e le tecniche per la didattica 'a distanza' delle abilità comunicative. Nel caso specifico, professori, ospiti e pubblico partecipante hanno discusso e affrontato il caso del carcere. La professoressa ordinaria in Glottologia e Linguistica, Maria Catricalà e il professore di giornalismo - nonché presidente dell'Istituto Piepoli - Roberto Baldassari hanno presentato un programma innovativo dal titolo Grafi.kit (Grafi dal greco 'graphè', ovvero 'scrittura'; kit dalla lingua maori 'cesto', ndr) che ha lo scopo di diversificare la dialettica dei laboratori di scrittura, dei media e di giornalismo, sperimentando come la didattica possa essere fruttuosa anche se compiuta, appunto, 'a distanza', mediante 'corsi mirati' all'acquisizione di competenze e conoscenze. Il primo incontro a cui abbiamo assistito si è focalizzato principalmente sul problema della riabilitazione detentiva: ciò a cui si vuol mirare è portare i detenuti a compiere la propria 'espiazione' della pena attraverso l'uso della didattica e, in tale preciso contesto, della scrittura. Hanno aderito alla 'tavola rotonda' anche il presidente della Scuola di Lettere, Filosofia e Lingue: Giacomo Marramao; il direttore del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università di Roma Tre: Paolo D'Angelo; il direttore dell'Agenzia nazionale per i giovani: Giacomo D'Arrigo; il responsabile Comunicazione istituzionale del ministero dell'Interno: Serenella Ravioli; il Magnifico Rettore dell'Università degli studi di Roma Tre: Mario Panizza; la responsabile di 'Made in carcere': Luciana Delle Donne; il consulente del sindaco di Catania per il marketing del territorio: Livio Gigliuto; infine, numerosi altri volontari, nonché i due organizzatori dell'evento. La vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli e il segretario particolare del ministro della Giustizia, Luca Spataro, hanno contribuito rispettivamente con un video la prima e con una e-mail il secondo, per salutare i presenti e sostenere l'importanza della proposta. A margine dell'incontro abbiamo avuto modo di intervistare uno dei due curatori principali dell'iniziativa, la professoressa Maria Catricalà, che ci ha spiegato in maniera approfondita la nascita di questo lavoro comunicativo e i suoi piani futuri.
 
Professoressa Catricalà, come e quando è nata l'idea del progetto 'Grafi.kit'?
"Il progetto è nato per risolvere un problema pratico, in quanto i nostri studenti di comunicazione sono obbligati, come tutti sanno, a seguire un laboratorio di scrittura con l'obbligo di frequenza. Nel caso in cui gli studenti-lavoratori non possano frequentare, predisposniamo allora dei corsi intensivi 'ad hoc', delle soluzioni didattiche alternative. Per la tipologia di studenti che vivono in condizione di detenzione, la frequenza in un laboratorio era impossibile. Di qui è sorta la domanda: che possiamo fare? Certo, avremmo potuto inviare un libro, uno dei tanti manuali di scrittura che sono sul mercato anche di ottima qualità, ma alla fine abbiamo pensato di trovare una soluzione alternativa, in considerazione anche del fatto che vi era un fondo d'incentivazione per 'l'e-learning': ovvero, la didattica 'a distanza'. Quindi, abbiamo messo in atto questo progetto, pensando d'integrare le varie attività con materiali differenti. Insomma, il progetto è nato da un'esigenza pratica. E oggi, in qualche modo, sta crescendo, dato che si sta valutando anche l'ipotesi di creare delle classi di controllo con alcune tipologie di studenti, per vedere come la didattica 'a distanza' possa incidere sulle competenze di base: ascolto-parlato-oralità-scritto-lettura nel codice secondario".

Ma si può riuscire a incidere effettivamente 'a distanza'?
"È questo il quesito fondamentale, perché oggi siamo sempre più esposti a offerte di didattica e di formazione 'a distanza'. Si può e si deve creare un modello 'alternativo' di valutazione e di verifica di queste attività. Al momento, questi 'modelli' vengono usati nei Paesi anglosassoni e non hanno trovato, nel nostro Paese, una 'sistematizzazione' adeguata. È invece necessario che si facciano dei tentativi, perché se noi, da oggi in avanti, sapremo investire sempre più nella didattica 'a distanza' e 'online', attraverso una serie di verifiche sulle reali capacità dell'apprendente riusciremo a modificare anche i suoi comportamenti futuri. Il progetto, dunque, nasce da un'esigenza ben precisa. E sta crescendo, poiché siamo di fronte a una 'svolta epocale': la didattica e i processi di apprendimento, con le nuove tecnologie stanno cambiando profondamente. La scrittura stessa si sta trasformando e i sistemi 'detentivi' sono tenuti a prendere atto di queste nuove possibilità, perché l'Europa c'impone, giustamente, il dovere di garantire al detenuto un certo 'spazio', un determinato numero di ore fuori dalla 'cella', assicurandogli un'offerta di attività formativa e culturale che diventi realmente 'riabilitativa'. Un 'crocevia' di questo genere garantisce al nostro progetto un nuovo significato".

L'incontro a cui abbiamo partecipato era il primo di tanti altri: può anticipare ai nostri lettori i piani e i propositi dei prossimi appuntamenti?
"Il prossimo incontro sarà, probabilmente, sulla tipologia dello 'studente-lavoratore'. Secondo me, è una categoria che va presa in considerazione, parallelamente a quella dello studente straniero. Il problema di quest'ultimo richiede una sessione didattica particolare per l'italiano. Ciò è importante, perché anni fa vi fu una riflessione, a nostro avviso fondata, sulle certificazioni, le quali non erano 'tarate' sullo studente straniero, ma per la semplice comunicazione di sopravvivenza. Il 'framework' europeo si basa, invece, su questa tipologia di modello: lo studente che entra in un'aula universitaria ha bisogno di un altro tipo di formazione linguistica, perché per questa 'tipologia' di straniero entrare in un negozio e comprare un chilogrammo di frutta risulta un criterio secondario: dev'essere in grado, invece, di ascoltare e comprendere una lezione in cui si parla di una disciplina ben precisa, qualsiasi essa sia. È prioritario per il soggetto capire e saper utilizzare almeno le dieci parole 'tecniche' fondamentali di una materia, piuttosto che saper fare una domanda in maniera cortese, perché è questo il modello a cui si dà spazio nella comunicazione pragmatica. Per questi studenti, anni fa noi avevamo già elaborato un modello di certificazione diversa e non capisco perché le università italiane lo abbiano abbandonato, mentre invece sarebbe da ripristinare assolutamente. Non si può insegnare a uno studente straniero 'arabofono' di andare per la strada a chiedere: "Per cortesia, dov'è la fermata dell'autobus"? Anche perché, con la tecnologia odierna, molte informazioni non sono più verbalizzate: non esiste più questo tipo di comunicazione, puramente formale".

E' un po' come quando noi italiani apprendiamo, della lingua inglese per esempio, le consuete frasi del tipo: "What's your name"? "What time is it"? e tutto si ferma lì?
"Esattamente: insegnare questo tipo di comunicazione 'formale' non è più necessario, mentre è vitale, invece, per uno studente straniero stabilitosi in Italia, che oltretutto deve sostenere un esame di comunicazione e linguistica, conoscere almeno 10/20 termini della materia, dal morfema alla sintassi, anche se ha una discreta padronanza nell'esprimersi. Lo studente-straniero deve avere la possibilità di fornire una definizione di quel settore della disciplina che sta studiando nella lingua 'seconda'. E il progetto che avevamo elaborato a suo tempo, si basava proprio su queste idee: a ogni destinatario, un percorso diverso".

E per le altre tipologie di studenti?
"La scrittura per lo studente straniero è diversa, ovviamente, rispetto a quella dello studente in stato di detenzione, mentre lo 'studente-lavoratore' vive situaizoni ancor più peculiari, poiché ha la necessità di socializzare per non essere totalmente 'assorbito' dall'ambiente di lavoro, che tende a rallentare i processi di apprendimento. Quindi, bisogna creare un'alternanza dei momenti di 'presenza', attraverso la didattica 'a distanza'. Egli s'iscrive con un certo 'appesantimento', dato dal carico di fatica e d'impegno lavorativo. Pertanto, quello spazio 'libero' che può dedicare allo studio deve avere una dimensione sociale, una serie di rapporti umani che lo compensino del fatto di dover rinunciare a frequentare costantemente le aule universitarie. Vivere quotidianamente in un'aula in cui s'interagisce tra studenti e con i docenti, scambiandosi informazioni, idee e approfondimenti, è fondamentale. Ecco perché stiamo ulteriormente ampliando il nostro progetto: per rispondere alle distinte esigenze, sia dello 'studente-lavoratore', sia di quello straniero".


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