Ricordo la prima volta che ho incontrato la tua gente, simpatica e ospitale.
E la prima
tortilla bollente, ingoiata affamatissimo come fosse polenta sulla spiaggia di San Sebastiano.
Ricordo spesso le tue straordinarie città, ed ogni volta che ti penso mi rendo conto di amarti da sempre, come una donna durissima, ma bella da mozzare il fiato, una femmina imbizzarrita che di me ha voluto tutto, senza mai negarmi nulla.
La Spagna del sole e del mare, quella araba, misteriosa e suadente, e quella verde, che si affaccia sull’oceano, con la sua pioggerellina invisibile che solo quando sei tornato a casa ti accorgi che ti ha bagnato.
I pescatori italo-iberici della
Galizia mi offrirono pane e polipo, una sera, rovesciandomelo gigantesco sulla mensa. E fecero una festa per chiedermi di tornare. Erano poverissimi e non li potrò mai dimenticare. Come non posso dimenticare il calore sotto ai piedi quando ho voluto per forza vedere i mulini a vento della
Meseta centrale, - quelli di Don Chisciotte… -, camminando scalzo su quell’immenso altopiano per un giorno intero. E ripenso ancora al tuo clima secco, quel sole a picco che mi faceva girare la testa, l’odore dei campi ai lati dell’autovia. L’allegria di Alvaro e Gaspar, il tradizionalismo di Ana e i suoi riti di fine anno. Ed Ernesto, che si mangiava tonnellate di
churros, aggirandosi alle due di notte come un pazzo per
il barrio antiguo di Oviedo alla ricerca di un romanissimo cappuccino. E ancora, la mia sonora sbronza di
Gijon, dove non riuscivo più ad uscire da sotto un tavolo, con tutta
l’Asturia che rideva, il giorno dopo, di me.
Ho miliardi e miliardi dei tuoi momenti, perché sei una terra meravigliosa, dove gli uomini stanno dalla parte degli uomini, dove ci si confronta su tutto,
perché la democrazia non l’hai trovata per caso: si è fatta strada quasi dolcemente nella tua personalità ribelle. Perché tu sei una ribelle e io ti ho capita subito, sin dal primo giorno. E ti ho amata come la prova più coinvolgente e sconvolgente che ho potuto donare a me stesso.
Ho mangiato con te, ho bevuto insieme a te. E ho fatto l’amore come non l’ho mai fatto da nessun’altra parte. Ho navigato coi tuoi battelli sulle
rias, quelle lingue di Atlantico che si addentrano per decine e decine di chilometri tra brulle scogliere, e ti ho baciata appassionatamente sotto le luci colorate delle
ferias di paese.
Mi prendevi in giro per quel mio
castigliano inventato, confuso col bergamasco di mio padre. E mi insegnasti che anche le più piccole tra le tue località si chiamano
pueblos, popoli, perché ognuno di noi fa parte di un popolo
“y todos juntos hacemos el pueblo”.
Ti ho amata fino allo spasimo su quella parte dell’oceano dove il sole tramonta a mezzanotte:
la costa della luz, della luce, quella dei tuoi occhi neri e profondissimi. L’orgoglio delle tue danze era dedicato a me, ed era assai lontano dalla supponenza narcisista di tutte le altre ragazze del mondo.
Tu sei diversa, diversa da tutte. Non sopporti il tradimento. Ed io non ti tradirò. Non posso farlo, proprio ora che ti hanno
ferita. Se bastassero tutte le stelle dell’universo per farti capire il mio amore, io oggi le dedicherei a te. Se bastasse il mondo intero a calcolare il bene che ti voglio, userei tutte le parole della Terra, tutti i suoi idiomi e i suoi linguaggi, per dirti: eccomi, sono qui e sono tuo, anima e corpo, cuore e mente, spirito e carne, proprio come allora.
Che il cielo si stravolga, allora, perché ciò io posso chiederlo per te, per ridarti la gioia di un sorriso, quello dei tuoi bambini.
E’ una cultura della vita, la tua, non della morte. Fosti proprio tu ad insegnarmelo: la morte si rivolta contro coloro che la professano, cogliendoli di sorpresa. Non farti piegare in questo, anche se so bene che non lo farai, perché ti conosco. Tu non molli mai: perdoni sempre, ma non ti arrendi mai…
La cultura della morte non è una cultura del sacrificio. Il tuo coraggio di vivere, come popolo e come nazione, dimostra a tutto il mondo
il valore della tua fede negli uomini. E chi professa una cultura della morte, urlandotelo in faccia con ferocia, in realtà
arde nel suo odio perché sei la terra del coraggio, il Paese delle emozioni, il popolo della felicità.
Que viva Espana! Che queste parole si alzino da tutta la Terra e facciano il giro del mondo intero.
Viva la Spagna, la più bella, la più fantasiosa, la più fantastica delle donne che ho amato.
Evviva la Spagna, che sorride alla vita, che non si nasconde e che affronta ogni giorno a viso aperto.
Que viva Espana, e la sua lingua parlata in mezzo mondo, il più delle volte proprio da quello più povero e infelice.
Que viva Espana!
Articolo tratto da "L'Opinione delle Libertà" del 18 marzo 2004