Giorni fa, fermo in un autogrill, mi è capitato di assistere ad una gesto che, seppur semplice nella sua articolazione, ha suscitato in me una grande riflessione. Ero nella toilette a lavarmi le mani dopo aver sostituito la lampadina di un faro della mia automobile ed ho visto un bimbo di appena 6 anni con il padre, intenti a lavarsi anch’essi le mani. Ed ecco la sequenza di movimenti che ha attirato la mia attenzione: il ragazzino ha aperto l’acqua, si è inumidito le mani, ha chiuso il rubinetto si è insaponato poi lo ha riaperto e si è sciacquato. Tutto ciò ha mostrato una profonda attenzione verso lo spreco di un bene così prezioso, l’acqua, a cui nessuno presta la dovuta considerazione, facendola spesso scorrere senza alcun motivo. Il tema centrale, per il nostro presente e il nostro futuro, è come riuscire a vivere su questo nostro pianeta con un numero di esseri umani - che ha già superato i 6 miliardi e che potrà superare i 10 in questo secolo - in maniera dignitosa ed equa per tutti, senza distruggere irrimediabilmente gli ecosistemi naturali da cui traiamo le risorse per vivere. Nei prossimi decenni dovremo essere capaci di passare da una società in cui il benessere e la salute economica sono misurati in termini di crescita della produzione e dei consumi materiali ad una società in cui si sia capaci di vivere meglio consumando molto meno, evitando la dilapidazione degli ecosistemi ambientali e, quindi, del capitale naturale. Oggi, abbiamo una sorta di parola d’ordine che, al solo utilizzarla verbalmente, sembra poter fornire la soluzione ai tanti e gravi problemi esistenti nel rapporto tra i sistemi naturali e la nostra specie: si tratta del cosiddetto “sviluppo sostenibile”. È un’espressione abbondantemente abusata, in ogni contesto, soprattutto di tipo politico ed economico. Infatti, sia per i politici, sia per gli ecologisti, sembra che parlare di sviluppo sostenibile o applicare il termine sostenibilità per qualsiasi attività umana divenga automaticamente una sorta di giustificazione di tutti gli effetti negativi prodotti dalle stesse. Il concetto di sostenibilità deriva dal verbo “sostenere”, che vuol dire “supportare, sopportare, mantenere il peso di, dare forza a…”. Si tratta di una sintesi apparentemente molto chiara: sembra infatti facile poter pensare che una nostra determinata azione o attività possa essere sostenuta dalle capacità presenti nel sistema in cui si opera, si agisce, si interviene e, ad una prima considerazione, sembra facile poter conoscere o calcolare tale capacità. In realtà, ciò che è difficilissimo chiarire, per mancanza di nostre conoscenze e per l’oggettiva complessità dei meccanismi di funzionamento dei sistemi naturali, è proprio la questione della ‘certezza’ che una nostra attività, una nostra azione o un nostro intervento possano essere adeguatamente sostenuti dall’ambiente su cui si interviene. Quindi, sarebbe assai opportuno prendere esempio da quel semplice gesto del bambino dell’autogrill, cominciando a sviluppare una certa sostenibilità già nelle nostre piccole abitudini, magari non accendendo tutte insieme la luci di casa, spegnendo il nostro pc in ufficio al termine delle nostre giornate di lavoro, non facendo scorrere l’acqua del rubinetto mentre ci si fa la barba e così via. Purtroppo, la crescita economica aveva promesso di creare una massimizzazione del benessere e la rimozione dei fattori di povertà, agendo fortemente sui servizi offerti dagli ecosistemi alla nostra sopravvivenza, Invece, ne ha profondamente minato le basi rigenerative e le capacità assimilative e, soprattutto nei Paesi poveri, è diventata sempre più causa di ulteriore povertà e di scarsità di risorse. E le nostre cattive abitudini contribuiscono a rendere tal processi degenerativi, giorno dopo giorno, praticamente inarrestabili.