La cooperazione appartiene alla storia dei riformisti liberali, socialisti e cattolici e, storicamente, non doveva essere né di destra né di sinistra, ma solo socialista riformista, come del resto sosteneva lo stesso Filippo Turati che ebbe uno stretto rapporto con gli ambienti operai milanesi. Turati, influenzato molto, per un certo periodo, da idee marxiste, sostenne apertamente il Partito operaio italiano, fondato a Milano nel 1882 dagli artigiani Giuseppe Croce e Costantino Lazzari, per poi fondare egli stesso, nel 1889, la Lega socialista milanese. Quindi bisognerà capire cosa ha portato il movimento cooperativo a diventare uno strumento di costruzione e di degenerazione partitica dell’economia, in poche parole a trasformarsi in 'capitalismo rosso'. La cooperazione doveva prendere posto accanto alle imprese private, a favore dei ceti medi e dei lavoratori, non in funzione anticapitalista, bensì contando sull’aiuto, sulla capacità di risparmio e di accumulazione degli stessi cooperatori o soci. Ma il movimento cooperativo, come lo abbiamo conosciuto noi in Italia è legato ed egemonizzato da un unico partito, il Pci, poi il Pds, Ds ed infine al Pd, un vincolo che gli ha fatto perdere, progressivamente, la propria forza propulsiva sul piano dei valori proprio a causa dell’invadenza partitica. La mancanza di trasparenza dovuta all’esistenza di un socio occulto (il Partito), l’insufficiente controllo da parte dei soci e la mescolanza con le amministrazioni pubbliche e le società pubbliche alleate hanno dunque contribuito al radicamento della 'red economy' nel nostro Paese. Le recenti vicende di alcuni gruppi come ad esempio Unipol – Parmasole – Hera – Coopfond, dimostrano che le cooperative fuori controllo sono dannose soprattutto per i soci. Infatti, quando la dimensione della società diventa rilevante, sono proprio i soci a non avere più un controllo effettivo sul management, cosicché questo, non controllato dal detentore del capitale, diviene totalmente autoreferenziale, trasformandosi in un perfetto speculatore senza correre i rischi dello speculatore. Alla luce degli eventi elettorali, che hanno mostrato un certo malcontento e una certa sfiducia in una parte politica ormai in gravissima crisi di identità, sarebbe opportuno riaffermare l’idea di una cooperazione svincolata dagli ordini e dalle convenienze di un Partito, recuperando il principio dell’etica mutualistica ed evitando di cedere alle tentazioni di portare il movimento sulla strada di spericolate operazioni finanziarie e di potere. Occorrerebbe, quindi, un processo di allontanamento del ‘Partito – padrone’ dalla gestione di molte cooperative e una parità di accesso delle società alle commesse pubbliche in base alla loro efficienza e non ai canali preferenziali con società politicamente alleate. Questo settore di economia, basato sulle cooperative, coinvolge nel nostro Paese milioni di persone e rappresenta uno dei casi più forte e importante di intreccio tra politica ed economia, che non lo rende da meno al tanto sbandierato conflitto di interessi che la sinistra italiana contesta sin dai tempi della discesa in campo di Silvio Berlusconi.