La circolare del ministro Alfano, che vieta ai sindaci di trascrivere nel registro di Stato civile i matrimoni gay celebrati all’estero, un merito lo ha: esprime in chiaro (addirittura con zelo, visto che in materia la delega è di Renzi) la sua concezione di relazioni civili. Detto ciò, va aggiunto che questa concezione è estranea allo spirito dell’ordinamento italiano quale è. E non quale vorrebbero i cattolici chiusi. Ne è estranea sotto svariati aspetti, giuridico, istituzionale e più in generale politico: sotto quello giuridico, poiché sostiene che la trascrizione sarebbe vietata dalla legge, mentre la legge obbliga alla trascrizione delle sentenze estere a richiesta, tanto che talvolta è stata imposta dal Tribunale; sotto quello istituzionale, in quanto sostiene che il matrimonio è solo tra maschi e femmine, mentre la Costituzione non lo dice espressamente con una norma esplicita e il suo impianto complessivo non consente discriminazioni affettive e sessuali tra cittadini; sotto quello politico, perché sostiene che la famiglia è possibile solo tra maschi e femmine, mentre la coscienza civile riconosce rapporti diversi scelti dai cittadini e, in molti Paesi della Ue già oggi, la disciplina prevista per il matrimonio civile è estesa alle unioni omosessuali. Infine, quella di Alfano è anche, in termini politici, una concezione omissiva. Il segretario di un Partito determinante di maggioranza (il Nuovo Centro Destra) non può ignorare l’urgente necessità di una legge sui legami tra cittadini dello stesso sesso, rispettosa dei diritti individuali, che metta fine al gioco dei cattolici chiusi di attribuire alla Corte costituzionale sul matrimonio tesi non sostenute nella sentenza 138/2010. Le dure reazioni alla circolare dei massimi vertici sia del Pd (Orfini, Serracchiani) che di Forza Italia (Carfagna) hanno messo in evidenza tale necessità. Tutti i laici dovrebbero impegnarsi per creare le condizioni politiche di una legge siffatta: è una priorità del convivere quotidiano. Invece, alcune associazioni seguono la tradizionale strada delle iniziative per assicurare ai principi laici una visibilità fine a se stessa, quasi solo celebrativa, lasciando indietro la questione essenziale di costruire condizioni politiche aperte alla laicità. E’ accaduto ancora pochi giorni prima dell’annuncio di Alfano: tre associazioni laiche, rilevanti e appassionate - Umanisti europei, Consulte per la laicità delle Istituzioni e Uaar - hanno chiesto un incontro al presidente del Consiglio e, dopo, hanno gioito per “l’importante riconoscimento del loro ruolo: per la prima volta nella storia della Repubblica, hanno potuto rappresentare al Governo italiano le istanze di milioni di cittadini italiani in merito alla laicità delle istituzioni ed ai diritti civili, che non trovano normalmente alcun ascolto e alcuna accoglienza”. Tralasciando il fatto che l’incontro è stato con il sottosegretario Dalla Vedova, del NCD, che ha un concetto arcaico degli affetti tra due individui, rimane l’assurdo di ridurre le attività laiche a redigere liste di punti identitari per richiedere al Governo in carica di accettarli. Le attività laiche non sono attività diplomatico-sindacali presso il potente. E non sono rivendicazioni di parte, perché i criteri laici migliorano la convivenza di ognuno. Perciò, vanno evitati libri dei sogni esaltanti e ininfluenti. Piuttosto, i laici lancino insieme un loro progetto normativo essenziale, allo scopo di mobilitare i cittadini in termini di diversità, per potenziarla sino ad adeguarvi il sistema. Alla svelta, stante il nuovo impulso dato da Francesco al clima ecclesiale, che senza mutarne i principi, è accattivante per l’opinione pubblica, credente e non.
Presidente della Federazione dei liberali italiani