Nella cultura libertaria, un uomo e una donna si conoscono, si confrontano, cercano di comprendere quali siano le proprie sintonie reciproche: le cosiddette ‘affinità elettive’. Naturalmente, alla fine di un simile processo si ‘scopa’ lo stesso. Ma almeno, nel celebrare il rito del corteggiamento, avviene un interscambio di informazioni, di ricerca, di elementi financo spirituali. Nella cultura ‘libertina’, invece, ovvero quella più materialistica e pragmatica, tutto questo non avviene. Il rapporto è di tipo contrattualistico: due soggetti vogliono due cose distinte e si mettono d’accordo. E’ il più ipocrita dei compromessi del cattolicesimo amorale: sesso in cambio di avanzamenti di carriera, di aiuto, di danaro. Dunque, al contrario di quanto in molti pensano, nella cultura libertina c’è molta, molta più disperazione, tristezza e squallore che in quella libertaria. In quest’ultima, la partita ‘a scacchi’ tra un uomo e una donna – ma anche tra due uomini o tra due donne - non è affatto scontata e può portare a risultati diversi: può saldare un nuovo sentimento di amicizia, può far nascere stima reciproca tra due individui, avviene un ‘processo’ che non è esplicitamente di carattere fisico, non si basa sull’esaltazione esagerata di una carnalità corporale falsamente giustificata da velleità ‘salutistiche’ o estetiche. Al contrario, si innesca una sensibilizzazione spirituale che genera rapporti che si irrobustiscono, fino a durare, delle volte, interi decenni. Nella cultura libertaria, insomma, un uomo e una donna, oltre a cercare di impostare un rapporto più complesso, generalmente sintetizzato con il termine ‘storia’, il più delle volte fanno anche altre cose: si lavora, si studia un progetto, si cerca di dar vita a delle idee e così via. Nella cultura libertina tutto questo non c’è: la partita è scontata, il compromesso quasi automatico, gli scopi che si intendono raggiungere addirittura banali. Il dato pragmatico del libertinismo può essere erroneamente associato al ceppo culturale marxista il quale, riducendo ogni cosa all’essenzialità scientifica, concentra la propria attenzione sul ‘meccanismo’ del rapporto sessuale disdegnandone le ‘sovrastrutture’, le quali, in verità, risultano assai spesso ben più importanti di tutto il resto. La cultura marxista è certamente la ‘mala pianta’ originaria di simili derive. Ma del libertinismo è sempre esistita anche una versione ‘borghese’, che pone la donna in uno squallido rapporto di tipo gerarchico rispetto all’uomo, scarsamente paritario, assolutamente antidemocratico. E’ la classica figura un po’ romanzesca dell'uomo ricco consapevole del fatto che, grazie alle proprie condizioni favorevoli, può far colpo su ballerine, attrici di belle speranze o artiste varie. Lo scontro ideologico avvenuto tra libertinismo marxista e libertinismo borghese, al contrario di quanto si pensa genericamente – con cognizione di causa, per quanto riguarda numerosi altri campi – sul terreno antropologico non ha avuto né vincitori, né vinti. Anzi, i due libertinismi hanno finito col confondersi: la Filomena Marturano di Eduardo De Filippo, dopo una vita vissuta nascostamente nella condizione di amante, di cui il nobile ricco si vergogna, mira ad ottenere con l’inganno una parte delle ricchezze del partner, al fine di riuscire ad assicurare un avvenire ai propri figli: una sorta di ‘lotta di classe’ in una commovente versione femminile. Viceversa, nel libertinismo classico - a mio parere, almeno per quel che riguarda l’Italia, di diretta discendenza ‘sabauda’ – la finalità dell’aristocratico o del borghese è quella di ‘redimere’ la donna dalle proprie velleità artistico – giovanili, oppure da una vera e propria vita di prostituzione dettata da specifiche condizioni di povertà, al fine di plasmare una figura femminile compatibile alle proprie esigenze anche a costo di ‘rinfacciarle’ le umili o discutibili origini lungo tutto il corso della vita coniugale. Ora, al termine di questa lunga premessa, credo sia giunto il momento di affermare che questo tipo di conflitti, questo genere di società, oggi non esiste più. O, se ancora esiste, è ormai in via di decadenza ed estinzione. Oggi, uomini e donne si avvicinano molto di più ad una condizione di parità sostanziale e morale, non soltanto teorica. La qual cosa significa, per un verso, che la vittoria ideologica della democrazia è sul punto di affermarsi definitivamente, anche se, per un altro, si stanno delineando una nuova serie di questioni derivanti dalla ‘nebulosità’ di un nuovo modello sociale e di valori in grado di fornire innovative coordinate, pedagogiche e comportamentali, di riferimento. Come ci si deve comportare in certe situazioni? Perché aumentano i single? Perché molti matrimoni, che sembravano possedere solide basi economiche e morali, falliscono miseramente? Come si può vivere sulla sola base esperienziale e individualistica? In base a tali quesiti, che pretendono risposte alquanto articolate, le preoccupazioni delle gerarchie ecclesiastiche circa l’eccessiva disinvoltura sessuale dell’attuale presidente del Consiglio – anche semplicemente nel merito dell’antiquata concezione femminile da costui dimostrata – appare parzialmente fondata. Tuttavia, ciò rischia di ritorcersi contro la stessa morale cattolica, che non ha voluto elaborare modelli comportamentali in grado di reggere il confronto con la modernità. In sostanza, la contraddizione stridente tra il gallismo maschilista ‘berlusconiano’, basato sull’assioma che una donna si possa comprare come fosse una ‘bestia’ alla fiera delle mucche, rimane un dato parzialmente ‘giustificato’ dal fatto che, togliendo a tale ‘incultura’ ogni modello di riferimento, essa finisce – come per una larga parte della mentalità ‘media’ di questo Paese – nella confusione più assoluta. In sostanza, meglio tenersi un Berlusconi corteggiatore ‘appiccicoso’, piuttosto che tornare al più selvaggio stato di natura, in cui gli uomini potrebbero pretendere di condurre il proprio rapporto con le donne attraverso la violenza, la sopraffazione o il ricatto. E la morale cattolica? Cosa ha da insegnare su questo terreno? Quali sono i comportamenti che essa consiglia? Qual è la pars costruens delle critiche di Famiglia Cristiana o del quotidiano ‘Avvenire’? Semplice: il tradizionalismo confessionalista più naftalinico e obsoleto, in cui le donne debbono essere sempre tutte ‘casa e chiesa’, in cui il senso di colpa – il peccato – deve essere affrontato attraverso la ‘lavatrice’ della confessione. E così via con l’apologia della famiglia, in cui ‘lavare i panni sporchi’, con il nascondere la ‘polvere’ sotto al tappeto dell’ipocrisia, con le invettive contro il divorzio, l’aborto, la contraccezione, la ‘pillola del giorno dopo’. Insomma, sociologicamente parlando, la confusione è ormai generale di fronte ad una società abbandonata a se stessa, senza che uno ‘straccio’ di compendio valoriale, spirituale, idealistico o semplicemente legislativo possa, in qualche modo, illuminarne il lento defluire verso un’ancor più nebulosa modernità secolarizzata. In verità, la via di mezzo di una società laica e libertaria ci sarebbe. Ma tale cultura viene colpevolmente tenuta in ostaggio dal mondo della cultura televisiva e della politica mediatica, come se si trattasse di una ‘parente scomoda’. La condizione di minoranza del mondo laico e riformista italiano sta cominciando, in termini sociali prima ancora che politici, a diventare il problema di tutti i problemi, poiché rischia di lasciare la collettività priva di ogni ‘collante’, debole di fronte alle idiozie più campanilistiche. Una questione che, personalmente, ritengo persino corretto che si aggravi, al fine di dimostrare definitivamente come la concomitanza di una serie di ‘tare’ di mentalità siano persino più urgenti delle consuete problematiche di carattere economico. Mentre la quasi totalità degli italiani rimane ostinatamente aggrappata ai ‘feticci’ e ai retaggi culturali più atavici e superati, l’unica conclusione possibile è il disincanto razionalistico: era questa l’Italia che si voleva? Bello ‘schifo’, complimenti! Nel campo progressista si professano concezioni moralistiche di stucchevole ‘snobismo’ intellettuale – spesse volte totalmente ingiustificate - confuse ad una stravagante ‘ubbia’ della ‘cafonaggine’ che sale al potere. Nel campo conservatore, invece, siamo più o meno a ‘Porta Portese’, in cui il divertimento di trattare ogni questione ricercandone il proprio ‘prezzo di equilibrio’ (il compromesso) rappresenta il solo vero ‘oggetto’ di studio. Infine, le gerarchie cattoliche si ritrovano nella contraddizione più profonda del loro intero storicismo teologico. Il fascismo, almeno, possedeva alcune velleità estetico – decadenti. Ed il ‘vecchio’ liberalismo manteneva un proprio antico filone a mezza strada tra il romanticismo dialettico ed un classismo ‘addolcito’. L’italo-marxismo, a sua volta, si poneva degli obiettivi di trasformazione sociologica della società per l’affrancamento dei ceti meno abbienti dalla propria condizione di subalternità. Ma oggi non vi è più alcuna traccia di tutto questo, non vi è un benché minimo ragionamento che riesca a ‘stare in piedi’ rispetto ai problemi che quotidianamente vengono posti dalla modernità. Il disincanto è l'unica risposta possibile, la sola via obbligata di fronte ad una società che si dimostra, ogni giorno di più, completamente priva di ogni forma di autentica morale, persino di un vero Dio. E non si tratta del consueto disprezzo antipolitico o intellettualoide, bensì della semplice, rassegnata consapevolezza che questo Paese si ritrovi ormai completamente alla deriva, senza alcuna possibilità di poter governare un processo politico o sociale qualsiasi. Come nella nota favola di Collodi, l’Italia è solamente il Paese dei balocchi, popolato da ‘somari raglianti’ con le orecchie molto lunghe che hanno eletto l’idiozia e la volgarità ad unica regola di comportamento e di vita.