Il 6 gennaio scorso, a Seriate (Bg), nel parcheggio di un supermercato un uomo ha tentato di uccidere la propria consorte con 14 coltellate. E innanzi alla procuratrice di Bergamo, la pm Emma Vittorio, l’autore di tali fatti si è giustificato affermando: "Ho avuto un black-out derivato dal fatto che lei mi provocava", chiedendo altresì di essere scarcerato per tornare al suo lavoro e riuscire a mantenere i propri figli. Una mera dichiarazione d’intenti, praticamente. Dopo le denunce per maltrattamenti; dopo i pedinamenti; dopo una misura cautelare che gli vietava di avvicinarsi alla moglie. E oggi, come per magia, a soli 3 mesi dai fatti, noi dovremmo fidarci di costui, poiché intenzionato a recuperare il proprio ruolo di padre esemplare. Stiamo ormai entrando in un’epoca in cui siamo costretti ad ascoltare di tutto, dove le assurdità fanno notizia. Ma quel che più colpisce è la totale disconnessione sia rispetto alle norme giuridiche penali, sia in termini di filosofia morale, cioè in base ai precetti della religione. Non c'è più niente che stia 'in piedi', ormai, o che sia in grado di fornire dei modelli di comportamento. Sempre più spesso, ci troviamo di fronte a una serie continuata di alienazioni allucinatorie. Come se il tentato omicidio fosse poco più di una ‘ragazzata’; come se bastassero delle “provocazioni”, esasperanti quanto si vuole, per reagire con un atto estremo, fuori controllo, totalmente privo di una benché minima ponderazione. Un codice di comportamento da reazionari dissociati dalla realtà, nel tentativo di far leva sul pentimento e la contrizione: una sorta di 'lavacro morale' dall’evidente discendenza confessionale, incapace di comprendere i tempi che cambiano. La variabile ‘tempo’, insomma, continua a essere considerata puramente opzionale. Come se si vivesse in una realtà statica, immersi in una sorta di presente assoluto che impedisce ogni forma di distinzione, comprese quelle etico-morali. Anche in termini di semplice convenienza individuale, in cui si dovrebbero conoscere le conseguenze dei propri atti, bisognerebbe essere consapevoli che esiste una società intorno a noi. La quale è costretta a difendersi di fronte a certi fatti. Si dirà: ci sono colpe storiche, antropologiche e culturali per questa deriva, da distribuire in varie direzioni. Ma anche questo discorso, alla fine, non ci interessa poi molto. Saremmo ben più interessate, soprattutto noi donne, a guardare al futuro, sapendo dove stiamo andando. Perché non ci sono solamente dei singoli individui ignoranti o mentalmente malati, ma anche interi popoli inconsapevoli, incapaci di comprendere che certi fatti sono la conseguenza di determinati atti senza scrupoli, completamente 'sganciati' da ogni principio. Sono gli atti a determinare i fatti e non viceversa: non esistono, necessariamente, due versioni di ogni comportamento, come se fosse sempre possibile reinserire il dentifricio 'schizzato' all’esterno del tubetto. Ci sono atti talmente gravi da produrre conseguenze incontrovertibili, che cambiano tutto intorno a noi: azioni dopo le quali non si può più tornare indietro. Ecco perchè servirebbe una nuova pedagogia: una forma di educazione sentimentale adatta ai tempi, come materia di apprendimento nelle scuole. Un’idea squisitamente laica, basata su un principio filosofico ben preciso: "La politica è l’attività dello spirito in quanto Stato".