Era il 26 aprile 1983 il giorno in cui mi apparve per la prima volta alla vista la città di Napoli. La sensazione fu un’ondata immensa di amore mescolato con un profondissimo dolore, che mi turbò quasi violentemente. Oggi, provo un bene enorme nei confronti di questa città, ricca di una cultura e di un senso della solidarietà assai più tangibile che nel resto d’Italia. Fu proprio a Napoli che mi innamorai per la prima volta: avevo solamente 16 anni e non compresi immediatamente che ciò che stavo vivendo avrebbe ancorata per sempre Napoli all’interno della mia anima e della mia stessa esistenza. Spesso mi inquieto moltissimo contro un determinato senso di impotenza verso i numerosi problemi di Napoli. Ma mi arrabbio così tanto, proprio perché ritengo che i partenopei meritino di più, molto di più. Napoli è una città diversa dalle altre, possiede una propria identità precisa, persino una sua lingua, in cui fortissimamente si percepisce l’influenza storica, politica e culturale della Spagna. E, forse, è anche per questo motivo che la amo particolarmente. Ogni volta che torno nella città del Vesuvio, mi reco sul colle di San Martino. In silenzio, mi siedo da solo sul ciglio della scarpata e mi metto ad ascoltare la ‘voce’ della città, assai diversa da quella delle altre metropoli italiane. I rumori di Roma o di Milano sono quelli dei clackson delle autovetture, delle industrie che lavorano incessantemente, delle numerose gru dei cantieri edili che spostano interi blocchi di cemento. Invece, la voce di Napoli è totalmente distinta: cani che abbaiano, latrano o guaiscono, bambini che strillano felici, donne che si parlano ridendo da una finestra all’altra, uomini che cantano malinconicamente. E’ una voce commovente, che mi trapassa l’anima. Vorrei viverla molto di più Napoli, per conoscerla sempre meglio, per scavare nella sua storia, per capire che cosa le abbiano fatto veramente. Essa rivela sempre tantissimi difetti. Eppure, ogni volta mi dona la netta sensazione di una città viva, ingegnosa, che riesce a vivere di fantasia. E’ veramente la città della ‘tarantella’, poiché il suo caos e le sue estreme difficoltà organizzative derivano da una popolazione abituata a pensare sempre a tutte le alternative possibili, prima di riuscire a realizzare un qualsiasi progetto concreto. Una creatività del genere rappresenta una risorsa enorme per questo Paese. Ma, generalmente, tale caratteristica viene considerata una qualità difficilmente valorizzabile. Anzi, per il resto dell’Italia è quasi un fastidio, una forma di elasticità mentale eccessiva. Nel corso degli anni ‘90, mi è capitato di vivere una felicissima storia d’amore con una delle ragazze più intelligenti di Napoli, un rapporto durato solamente tre anni, ma molto intenso ed imperniato attorno a buonissimi sentimenti, chiusosi senza drammi particolari. Ebbene, se in città mi capitava un contrattempo qualsiasi, la mia tendenza normale era quella di non esprimere cosa mi fosse realmente accaduto, oppure di fornire solamente una spiegazione riassuntiva della situazione che mi era capitato di fronteggiare. Mi sto riferendo a cose molto piccole, naturalmente: un ritardo ad un appuntamento o situazioni di questo tipo. Ma la mia allora compagna e la sua intera famiglia non rimanevano mai del tutto convinti dal ‘compendio’ da me fornito: pretendevano ch’io raccontassi ogni cosa nel dettaglio, minuti per minuto, secondo per secondo, per comprendere dove effettivamente risiedesse la difficoltà che avevo incontrato. Insomma, Napoli è talmente immersa nei suoi problemi che sembra quasi non riuscire a farne a meno. E la sua tendenza di fondo rimane quella di analizzarli ripetutamente, costantemente, sia che si tratti del traffico o di una qualsiasi altra questione. Ma il ‘circolo vizioso’ che si viene a creare, l’equivoco che, alla fine, prende il sopravvento in moltissimi napoletani, diviene soprattutto quello di trarre nuove opportunità proprio dalle numerose circostanze negative. Nell’estate del 1999, ad esempio, mi recai sull’isola di Ischia per trascorrere le vacanze estive. Al fine di favorire la mia circolazione sulla meravigliosa ‘isola verde’, alcuni amici di Pansa mi avevano messo a disposizione una piccola autovettura. Un bel giorno, mentre scendevo in macchina verso Forìo dopo una simpatica escursione sul monte Epomeo, mi ritrovai in una improvvisa strettoia causata da una vettura parcheggiata in doppia fila sul lato opposto della carreggiata, alla quale se n’era affiancata un’altra che pretendeva di sorpassarla procedendo nella direzione esattamente opposta alla mia. Naturalmente, dovetti rallentare per effettuare con attenzione la delicata manovra di transito, anche se ero rimasto alquanto stupito per il fatto che l’automobile che procedeva nell’altro senso non avesse minimamente mostrata l’intenzione di concedermi la precedenza. Ed anzi, quando mi ritrovai a ‘tiro di finestrino’, l’autista dell’altro veicolo mi apostrofò, in dialetto napoletano, con la seguente espressione: “Ah guagliò! Ma nunn ‘o vedi che tengo ‘o problema”? In sostanza, a Napoli non vige il codice della strada propriamente detto, bensì un codice di comportamento ‘sociale’ in cui chi possiede un qualsiasi problema da risolvere diviene preminente rispetto a chi non ne ha, generando un continuo ‘conflitto di interpretazioni’. Un siffatto modo di essere, tuttavia, non viene vissuto in una maniera nevrotica od in base ad atteggiamenti forzati, bensì rappresenta una normalissima metodologia dialettica di comunicazione, di interscambio, di confronto continuo tra impressioni e opinioni, ipotesi ed eventualità. Potrei elencare una montagna di esempi del genere, episodi che alla fine rendono la vita quotidiana in Campania un continuo corollario di divertentissimi dibattiti, riflessioni e ragionamenti basati su situazioni che spesso vengono ‘allargate’ anche ad altre persone, arrivando a coinvolgere persino estranei o passanti casuali. Sono veramente fantastici i napoletani, intelligenti e simpaticissimi, ognuno con la propria morale, ognuno con le proprie idee, ognuno con le proprie cose da raccontare. Napoli è indubbiamente la città più comunicativa del mondo, un vero paradiso per chi ha scelto, come il sottoscritto, di basare la propria esistenza proprio sulla comunicazione. Mi rendo conto che tutto questo è alquanto ‘fuori tema’, rispetto all’emergenza rifiuti. Tuttavia, la questione in sé mi è parsa un utile spunto per una riflessione più generale intorno alla splendida identità culturale di una metropoli mediterranea capace, potenzialmente, di tutto e di tutto il suo contrario, in cui l’impossibilità vera e propria quasi non esiste. Napoli meriterebbe di più, molto di più, questo voglio proprio dirlo, perché rimane una città che, a suo modo, non rinuncia mai a guardare alla vita attraverso un sorriso, una gentilezza ed una generosità disarmante. Anche verso chi si dimostra molto critico nei suoi confronti. Ed ogni volta che capito in città, essa mi apre il suo cuore con una disponibilità curiosa e, addirittura, invadente, regalandomi situazioni sempre imprevedibili. Come quella volta che, mentre mi trovavo a brodo di un traghetto partito dal porto di Pozzuoli, venni colto da un potentissimo mal di pancia. Il capitano dell’imbarcazione, notando le mie critiche condizioni, decise di effettuare una sosta non prevista a Procida e mi fece scendere su quella graziosa isoletta al fine di recarmi presso un gabinetto pubblico, attendendomi pazientemente nonostante il ritardo di tempo che stavo ingenerando. Dopo una decina di minuti, quando riapparsi chiedendo il permesso di risalire, ricevetti un ironico ma generoso applauso da parte di tutti i napoletani a bordo, i quali erano rimasti in attesa della mia ‘evacuazione’ trasformandola in una notizia di pubblico dominio: una cosa pazzesca, da non crederci… Alcuni vennero persino a congratularsi con me! Ti voglio un mondo di bene, mia dolcissima Napoli: tu sei veramente una città ed un popolo unico al mondo. Ed io sono orgoglioso di essere, oggi, uno dei tuoi tanti figli adottivi.