Ha scritto di recente il giornalista Andrea Manzi sul quotidiano napoletano ‘il Roma’: “Dispiace che Roberto Saviano tolga le tende e vada un po’ all’estero per rientrare nella sua età e gustarsi amori e birre che anche un ventottenne cresciuto troppo in fretta merita. La vita pericolosa da lui affrontata con spirito di ‘servizio’ ci avrebbe fatto prevedere sviluppi diversi, pur in presenza del rischio di un attentato peraltro vago, frettolosamente amplificato ed ora finanche smentito. Quando l’intolleranza fascista si abbatté sui fratelli Rosselli – anch’essi giovani e senza nemmeno il tempo di rimpiangere amori e sbronze – cominciò proprio allora la loro lotta. Il regime, con decreto, aveva chiuso il Circolo di cultura di Firenze. I due intellettuali scrivevano perché, come Saviano, credevano nel valore delle parole. Scrivevano, ma soprattutto studiavano, e non ebbero editori o giornali di supporto, né scorte o rifugi blindati. Avevano il desiderio della libertà, punto: erano soli, ma non lo dissero mai”. Naturalmente, noi confermiamo in pieno l’altissima dignità laica dello sforzo intellettuale compiuto dai fratelli Rosselli, oltre all’attualità, se vogliamo, del loro messaggio culturale. Tuttavia, per quanto crepuscolare possa apparire, la denuncia espressa in ‘Gomorra’ - perché di denuncia si tratta, benché Manzi si sforzi di negarlo sulla base di formalismi di ‘scuola’ tipicamente partenopea - continua a rimanere una metodologia che tante forze laiche, divise in famiglie e famigliole, da troppo tempo rinunciano ad applicare, poiché prigioniere di un’evidente autoreferenzialità che serve solamente ad accreditarsi in ambienti politici, giornalistici e culturali, spesso senza merito alcuno. Ma il Manzi prosegue la sua ‘tirata’ retorica fino a citare una frase del professor Amato Lamberti, fondatore dell’Osservatorio sulla camorra, il quale di recente pare abbia dichiarato che “se si utilizza Saviano per conoscere la camorra, allora si potrà consultare il romanziere Stephen King per lo studio socio-economico degli Stati Uniti”. Insomma, si continuano a sollevare pretesti nel tentativo, subdolo quanto anarcoide, di rinfacciare al giovane scrittore casertano di aver semplicemente raccontato la verità sulla propria terra e su un certo tipo di politica, che tende a ‘patteggiare’ il controllo del territorio con le organizzazioni criminali. Così come fu per Pasolini, così come fu per De Sica. La condizione culturale del Mezzogiorno italiano non è altro che lo specchio di quella dell’intero Paese: pressappochista, superficiale, confusionaria, dove la dissimulazione e la manipolazione del concetto stesso di identità culturale è divenuta metotodologia scientifica di un sistema ‘complessivamente mafioso’, poiché tutto si può definire mafia, allorquando si mantengono chiuse intere conventicole professionali, culturali e associative. Tutto è disposto per corporazioni, per famiglie, in Italia. E la mafia si basa proprio sul concetto di famiglia: ricordiamocelo, ogni tanto, per favore. Così, salta fuori questo paragone assurdo con un Stephen King che ha sempre voluto raccontare delle storie volutamente oniriche e paradossali: un segnale anche questo di arretratezza, se non di autentico provincialismo, poiché anche il più svagato dei cultori di film horror è consapevole che Saviano si è occupato di un genere letterario totalmente diverso. Sì, forse è vero: ‘Gomorra’ cambierà ben poco. Ma denunciare un Paese che fa letteralmente ‘schifo’, caro Manzi, è sempre meglio che non far nulla. Come molti, in Campania, ‘sotto sotto’ vorrebbero, forse proprio a causa di una mentalità tutt’altro che laica.