L’On. Giovanna Melandri, parlamentare dei
Ds ed ex Ministro dei Beni Culturali, è uno dei personaggi politici principali del cosiddetto
'correntone'.
On. Melandri, può darci innanzitutto un suo commento sul mancato raggiungimento del quorum nel corso del referendum per l’enstensibilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori?
“L’iniziativa promossa dalla Cgil a difesa dell’art 18, che ha portato oltre tre milioni di persone al Circo Massimo il 23 marzo dello scorso anno a manifestare contro l’intenzione del governo di eliminare i diritti contenuti in questo articolo dello Statuto dei Lavoratori, ha avuto il grande merito di unire in un unico grande fronte l’opposizione politica e sociale al governo Berlusconi. Questo fronte si è unito nel nome della difesa del diritto al lavoro e della dignità della condizione dei lavoratori. Viceversa, il referendum abrogativo ispirato dall’intento di estendere l’obbligo di reintegro per il licenziamento senza giusta causa anche alle imprese con meno di 15 dipendenti, ha raggiunto il risultato diametralmente opposto”.
Ma quali erano le differenti concezioni che si sono scontrate all’interno della sinistra italiana?
“Il quesito proposto dal Comitato promotore rappresentava il modo peggiore per risolvere il problema dell’estensione dei diritti dei lavoratori. Votare ‘no’, equivaleva a votare contro i lavoratori e negare l’esistenza di un problema di estensione dei loro diritti e, questo, non era accettabile. Ma votare ‘sì’, creando di fatto un quadro normativo sostanzialmente inapplicabile, non significava introdurre forme di tutela per il nuovo lavoro più debole, per quello parasubordinato e, soprattutto, per i molti giovani che chiedono nuovi diritti per affrontare la crescente precarizzazione del lavoro”.
Lei non crede che ormai esista una frattura insanabile fra sinistra massimalista e sinistra riformista?
“L’obiettivo comune del centrosinistra, indipendentemente da come le singole forze si sono espresse rispetto al referendum, era e rimane l’individuazione delle iniziative più efficaci da assumere per estendere i diritti dei lavoratori. Su un tema delicato come questo, il confronto è aperto e tutte le posizioni sono rispettabili. E’ materia del parlamento ed in parlamento esistono numerose proposte depositate da parlamentari del centrosinistra, molte delle quali nate sotto la spinta della grande iniziativa dei mesi scorsi della Cgil a difesa dei diritti dei lavoratori. Si tratta quindi di proposte molto ‘pesanti’, al cui confronto – che mi auguro si riavvii immediatamente - il governo non potrà sottrarsi”.
Le divisioni createsi nascondono l’intenzione tattica di una qualche operazione ‘terzoforzista’?
“No, non credo”.
Lei si ritiene una massimalista o una riformista?
“Massimalista e riformista sono due abiti talvolta troppo larghi, talvolta troppo stretti e, comunque, vecchi, passati decisamente di moda e con i quali ancora qualcuno cerca di ‘ingabbiare’ il dibattito all’interno dei Ds. E bisogna guardarsi bene da chi usa questi termini, perché spesso essi vengono scagliati come anatemi da parte di chi si muove con l’intenzione di lacerare in maniera irreversibile quell’unità che, all’interno dei Ds e del centrosinistra, è talvolta difficile da ritrovare, ma indispensabile da ricercare. Non esistono, dunque, riformisti ‘doc’, riformisti ‘così-così’ e ‘massimalisti’: dal Congresso di Pesaro è emerso con chiarezza che esistono diversi modi di intendere il ruolo e la posizione di una forza riformista all’interno dei processi di cambiamento che stanno riguardando il mondo. C’è una lettura più ‘moderata’ e più sensibile ai processi di dinamizzazione dei fattori sociali e un’altra più attenta e rigorosa sulla difesa ed estensione dei diritti”.
Come far convergere le diverse posizioni all’interno dei Ds?
“Il vero sforzo per i Ds è tenere insieme il desiderio di guidare i processi di trasformazione della società e del mondo con l’intento di proporre modelli decisamente alternativi a quelli della ricetta neoliberista, che ha ‘drogato’ la politica, mondiale ed anche italiana, degli ultimi 20 anni. Del resto, questa dinamica oggi coinvolge anche altre forze della sinistra europea, come il Ps in Francia, il partito socialdemocratico in Germania e gli stessi laburisti inglesi. Ma ovunque, non è cambiato il panorama di valori di riferimento da tenere sulla sfondo di tale ricerca di strumenti nuovi: penso, ad esempio, ai mai tramontati desideri di emancipazione sociale, di pace, di progresso. E questo mi basta per dire che sono molti i motivi di fondo per cui difendere ed esaltare la ricerca di una ‘casa comune’ tra le forze di ispirazione progressista e socialista…”.
Lei non crede che una parte del popolo di sinistra che discende dal vecchio Pci sia ancora nostalgicamente legata ad una mentalità sindacalista meramente contrattativa?
“No. Decisamente no”.
Con quali forze o esponenti il centrosinistra riuscirà a trovare un accordo programmatico stabile per preparare una futura credibile alternativa di governo del Paese?
“Il campo di forze su cui costruire una coalizione alternativa alla Casa delle Libertà deve essere vasto. Esso deve partire dall’Ulivo così come è oggi, ma avere l’ambizione di allargarsi ad altre forze politiche progressiste, riformiste e socialiste che abbiano voglia di siglare non un accordo elettorale, bensì un vero e proprio impegno programmatico comune e condiviso di governo fondato su tre principi: riaffermazione dell’unità del Paese, difesa, ammodernamento ed allargamento dei compiti e delle prerogative dello Stato Sociale, investimento sullo sviluppo dell’Italia attraverso le leve della formazione, dell’innovazione e della ricerca. Dopo la “sbornia” di promesse miracolistiche non mantenute dalla Casa delle Libertà, infatti, il centrosinistra sarà senz’altro credibile se saprà comunicare agli italiani il suo diverso progetto per il futuro del nostro Paese”.
L’importanza dei movimenti…
“E’ fondamentale che la costruzione di una alleanza programmatica dalle basi solide veda coinvolti, fin dal primo momento e con analoga dignità, quei movimenti che hanno avuto il merito in questi ultimi due anni di ‘risvegliare’ molti cittadini, innescando nuovamente quelle forme di militanza e partecipazione democratica che rappresentano, ad esempio, uno degli elementi che spiegano il successo del centrosinistra alle recenti elezioni amministrative”.
Perché negli anni del centrosinistra al governo non venne cercata un’intesa di ampio respiro con la Lega Nord?
“Solo Berlusconi poteva, in virtù di un patto di potere, accondiscendere ai folli intenti di Bossi di spaccare il Paese e di “cannoneggiare” le navi degli immigrati clandestini…”.
Ma non fu un grave errore tattico, secondo lei?
“No, perché al di là del frangente politico che portò alla crisi del primo governo Berlusconi, non esiste un solo tema su cui il centrosinistra possa trovare non dico accordi, ma neanche elementi di sintonia con la Lega”.