Vittorio LussanaOriana Fallaci è razzista. Questa la sentenza inappellabile dell'intellighentia intellettuale francese capeggiata dai vari Jean Daniel, Gilles Kepel e Bernard Henry Lévy i quali, nelle scorse settimane, hanno bollato l'ultimo lavoro - "la rabbia e l'orgoglio" - del nostro più libero spirito laico, di paranoia islamofobica.
Il mondo degli intellettuali, italiani e francesi in primis, continua a dimostrare di non riuscire a capire proprio nulla della realtà odierna.
L'imborghesimento di questi scrittori, artisti, sceneggiatori e docenti universitari è ormai sotto gli occhi di tutti: giocano solamente a fare i baroni della cultura professando un buonismo di maniera tendente a gestire, in ultima analisi, l'esistente. Dei veri e propri teologi del 'tirare a campare' e della 'navigazione a vista'.
Vittime di una concezione centralizzata del potere, che li porta alla supponente presunzione di poter capire e governare meglio di chiunque gli articolati processi socioeconomici in atto nel mondo intero, testimoniano, in realtà, la fine ormai imminente di una cultura, quella europea, ripiegata irrimediabilmente su se stessa nella più totale incapacità di delineamento di una minima prospettiva di fronte ai nuovi problemi imposti dalla globalizzazione o dal progresso tout court, in una sorta di sconcertante 'crepuscolarismo di ritorno' caratterizzato da imbarazzanti ritrosie per le responsabilità effettive.
Eppure è tutto abbastanza semplice da capire: Oriana Fallaci non è una 'pasionaria in gonnella', nella vita quotidiana. E' una donna sensibile e intelligente, che non ha paura di 'sporcarsi le mani', che non riesce a concepire l'idea di operare di calcoli renali un malato di cancro, anche se distrattamente si smalta le unghie di rosso prima di recarsi all'ambasciata iraniana.
Dato che c'è molto di peggio nella vita, perché non provare a spiegarlo a quel popolo musulmano con gli occhi 'di fuori' al solo veder spuntare da un paio di jeans le caviglie sottili di una qualsiasi europea in gita turistica nelle terre di Allah?
E se la Fallaci fosse la classica scrittrice sospirosa, ardente di buoni sentimenti e di amore verso l'umanità tutta, che tipo di scelta ci indicherebbe, in termini puramente intellettuali?
Certamente, ciò che dice e che scrive può anche non piacere.
Ma da qui a bollare di 'semplicismo' chiunque si ostini a voler compiere, vivaddio!, una qualsiasi scelta, nelle proprie opinioni, una selezione critica di sintesi anche relativamente minima tra valori e intenti, che ammette umanamente di non riuscire ad amare tutto e tutti in quanto persona che da tempo ha normalmente superato l'epopea utopistica degli anni adolescenziali, ce ne dovrebbe correre!
A meno che non sia divenuto un reato avere delle proprie idee in testa...
La questione di questa polemica esplosa Oltralpe, in sostanza, è ben altra.
La gente ammira chi vuol prendere una decisione, assumendosi le responsabilità del caso.
Tuttavia, per determinati 'ambienti' culturali, un decisionismo anche marginalistico, una semplice e personale presa di posizione, è sinonimo di populismo, dunque ignoranza becera, ergo razzismo.
Israele e OLP se le danno di santa ragione da circa cinquant'anni? Bene: non parteggiamo per nessuno, non prendiamo posizione alcuna, ci mettiamo lì, nel mezzo, a dispensare il canonico 'buon senso perbenista', un po' modernista e un po' cattolico, ché tanto funziona sempre!
In tal modo, si evitano prese d'impegno precise e si fa pure bella figura.
Che brave persone, questi intellettuali francesi: non sono ancora morti che già si pongon fermi e pronti a lasciarsi immortalare nelle proprie statue di marmo, che poi nessuno, però, scolpirà.
Ogni decisione risulta rischiosa: non si deve pensare al terrore disseminato tra due popoli o nel mondo intero in quel maledetto 11 settembre, ma a finire sui libri di Storia o, al limite, pubblicati su qualche bella rivista storiografica.
Una cultura per 'quartieri alti', tanto per intenderci.
Vi annuncio ufficialmente che, questi signori, hanno definitivamente assassinato la figura dell'intellettuale 'guastatore'.
Sin da bambini, ci veniva insegnato che, tanto era amara una medicina, tanto più poteva farci bene, poiché invertiva il decorso di una malattia.
Ebbene, non è più così.
Schiavi di una concezione cumulativa della cultura stessa, in grado di mandare a quel paese qualsiasi empirismo riformistico, ogni mutamento possibile si può dunque portare avanti solo attraverso continue e approssimative mediazioni, sino all'apoteosi di un congresso internazionale degli 'spaccacapelli'.
Quella 'vecchia idea'…la Rivoluzione: forse, nel 2002, si realizza in tal guisa…
Ma la grave malattia che proprio non si riesce a debellare, dal DNA di molti intellettuali europei, è una sola: l'universalismo ecumenico, una specie di perversa necessità d'infinito che li affligge nella comoda convinzione dell'esistenza di una provvidenza superiore in grado di riequilibrare misericordiosamente le ingiustizie del mondo, in termini filosofici, un misticismo antiscientifico tendente a nascondere ipocrisie e narcisismi.
Questo il vero morbo, in verità, il vero cancro: una concezione feudale - oggi si usa dire 'lobbistica', ma già il termine è in via di superamento per l'avvento del più accessibile 'ambientale', che sa di cerchia, di discepoli, di 'verbo del maestro' - del proprio impegno intellettuale, la paura per ogni minima forzatura trascendente che possa venir confusa con il mero interesse personale.
Inutile rimpiangere un Pier Paolo Pasolini che si aggirava da solo tra gli alveari di cemento del proletario quartiere romano della Tuscolana, poeticamente disperato nel suo senso di appartenenza ad un passato sradicato nella propria interiorità e nei suoi valori.
Poiché il problema effettivo, in conclusione, è quello di un indiretto interesse personale coltivato prioritariamente e quasi esclusivamente, sia nelle arti, sia nelle professioni, che impedisce, anche psicologicamente, prese di posizione che potrebbero portare troppo lontano da qualche 'carro' divenuto, improvvisamente, vincente.

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