Noto come uno dei principali esponenti del ‘Pop surrealism’, l'artista Angelo Accardi ha costruito una carriera straordinaria combinando arte classica e cultura popolare in opere che sfidano le convenzioni. Dalla serie ‘Misplaced’, che ha rivoluzionato il suo percorso introducendo l'iconica figura dello struzzo, Accardi continua a sorprendere il pubblico con la sua capacità di trasformare il ‘nonsense’ in nuove forme di senso. Protagonista della scena artistica contemporanea, il 2024 lo ha visto al centro di eventi di rilevanza mondiale: dalla Biennale di Venezia alla Biennale di Dakar, fino alla prestigiosa Art Basel di Miami, con la mostra 'The Garden of Eden'. In quest’intervista, Angelo Accardi ci parla delle sue opere più significative, delle influenze che hanno plasmato la sua visione e dei progetti futuri, offrendo uno sguardo unico nel suo universo creativo.
Angelo Accardi, a quale sua opera si sente più legato?
“Il mio lavoro non ha gerarchie: io seguo dei filoni che si srotolano davanti a me e che mi indicano la strada. Fortunatamente, coincide spesso con il gusto dei miei collezionisti, che sono abituati a essere spiazzati da nuove soluzioni compositive e temi imprevedibili, fuori anche dai trend del momento, lontani dall’algoritmo che ormai in tutti i settori creativi decide cosa è giusto e cosa è sbagliato. Fu così che introdussi, per la prima volta, lo struzzo nelle mie tele. E, forse, quell’inserimento ‘misplaced’, fuori posto, cambiò il paradigma che ancora oggi ispira le mie composizioni. Se dovessi salvare un’opera da un’eventuale distruzione, salverei quella in cuim per la prima volta - in una Piccadilly Circus deserta - fece la sua comparsa lo struzzo”.
Quale artista ha influito di più sulla sua formazione o a cui si ispira?
“Durante il mio percorso di formazione, fino al breve periodo passato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, il mio Pantheon si è ampliato a tal punto che la troppa consapevolezza mi ha indotto ad abbandonare la figurazione per un innamoramento, peraltro non corrisposto, per l’informale di Vedova e le creazioni materiche di Burri. La scoperta di Bacon, che come Burri fondeva idealmente la materia che qui diventava carne e anima, mi fece ritornare alla figurazione, ma con la consapevolezza di dover uccidere i miei padri e inventare qualcosa di completamente nuovo. Mi venne in soccorso Robert Williams con la sua corrente ‘lowbrow’, dalla quale presi solo ciò che mi serviva, reinventando il concetto di surrealismo in chiave ‘pop’. Oggi, mi sento più vicino a Dante Alighieri che a Breton, in quanto il mio surrealismo è frutto di una lucida regia che reinterpreta la legge del contrappasso, con la messa sotto accusa dei potenti della Terra i quali, nel mio piccolo ‘aldilà’ artistico, subiscono vessazioni e piccole angherie che rimettono a posto le cose o che, in questo mondo, non vanno per il verso giusto”.
Dopo i traguardi raggiunti lo scorso anno, qual è la sua prossima ambizione o il prossimo sogno da realizzare?
“Il mio studio è una fucina continua di idee e progetti, alcuni dei quali molto ambiziosi e con gestazioni più lunghe, soprattutto quando ci si interfaccia con importanti istituzioni pubbliche. Per scaramanzia non parlo mai dei progetti futuri, per lo meno non prima di aver avuto la certezza matematica che il ‘cantiere’ possa essere varato. Devo dire che, ultimamente, abbiamo ricevuto uno stop anche dopo una delibera esecutiva. Lo ‘spoil system’ nel pubblico ha complicato la filiera delle approvazioni, azzerando gli ‘art bureau’ delle amministrazioni, che avevano competenze specifiche sulla programmazione artistica, per sostituirli con nomine politiche spesso inadeguate al ruolo. L’arte pubblica rimane, comunque, un leva che ogni amministrazione usa per la ricerca del consenso. Ma così facendo, spesso gli artisti diventano - loro malgrado - i testimonial di uno spot politico, prima ancora che culturale. In ogni caso, apprezzo sempre il coraggio di chi si affida agli artisti, rischiando magari la propria ‘poltrona’. Come accadde a Boeri, per aver concesso il permesso per l’installazione temporanea dell’opera monumentale ‘L. O. V. E.’ di Cattelan in piazza Affari a Milano, diventata poi permanente grazie al comitato di quartiere che presentò al comune una petizione popolare”.
Europa, America, Africa: sensibilità artistiche diverse o simili?
“Non possiamo pensare, in un’epoca di globalizzazione, che l’arte rimanga immune dalle contaminazioni. Anzi, le avanguardie storiche, proprio grazie alle contaminazioni con il primitivismo o con i manufatti orientali che invasero il vecchio continente, si faceva Fauve, cubista ed espressionista. Delacroix, in uno dei suoi viaggi in Medio Oriente, rimase folgorato dall’accoppiamento stridente tra il rosso e il verde utilizzato nei tappeti persiani. E scoprì la capacità del colore di creare vibrazioni luminose, senza ricorrere alla giustapposizione delle ombre bituminose dell’800 con le superfici illuminate dalla biacca, dando vita, involontariamente, all’impressionismo, che bandì il nero dalla tavolozza. Oggi, siamo al paradosso che esistono artisti africani che traggono ispirazione dal loro emulo Basquiat, che non era mai stato in Africa, ma che sicuramente utilizzava una regressione all’arte rupestre e primitiva”.
Nella foto: NYC - The garden of Eden (archivio fotografico Studio Accardi)