Elisabetta Chiarelli

Da un po’ di tempo a questa parte, l’opinione pubblica ha iniziato a occuparsi dei disturbi psichiatrici e della loro diffusione. Ciò rappresenta senz’altro una conquista culturale: la malattia mentale non è più vista come un tabù. A essa viene attribuita una dignità pari a quella accordata alle patologie fisiche. Nel 1972, il professor Mario Tobino, direttore dell’ospedale psichiatrico di Lucca, vinse il Premio Campiello con il libro: ‘Per le antiche scale’ (Arnoldo Mondadori Editore). La pregevolezza di quest’opera risiede nell’aver abbattuto, in tempi risalenti, lo stigma dell’infamia che connotava abitualmente la malattia mentale. Il romanzo, scritto in un linguaggio che sembra evocare la tecnica narrativa del “flusso di coscienza” adottata da James Joyce, racconta, prevalentemente in prima persona, l’esperienza pluridecennale del medico-psichiatra Anselmo, proiezione di Tobino. La completa dedizione ai pazienti, all’interno di un piccolo ospedale immerso nella campagna toscana, disvela un universo di umanità e di tenerezza sconosciuto a chi ne è al di fuori. Si snoda, attraverso le pagine del racconto, un intreccio di relazioni connotato da profonda empatia e solidarietà, che lega non solo il medico ai suoi pazienti, ma anche questi ultimi tra di loro. Pertanto, si palesa al lettore una realtà alternativa a quella ordinaria, fondata su equilibri, ritmi, gesti dal significato inedito. Scrivendo quest’opera, Mario Tobino manifestò il suo netto dissenso all’entrata in vigore della Legge Basaglia: mostrò la sua contrarietà rispetto alla tendenza a considerare il malato psichiatrico un’anomalia da normalizzare, obbligandolo a ogni costo a inserirsi in una realtà sociale di cui si sente estraneo, scaricandolo peraltro sulle famiglie. L’autore evidenzia come la malattia mentale sia una condizione precostituita, più o meno consapevolmente, da coloro che ne sono affetti, per trovare in se stessi un equilibrio, che consenta loro di sopravvivere al dolore. E tale condizione merita rispetto. Parimenti, merita rispetto la quotidianità vissuta dai malati psichiatrici, all’interno  delle strutture in cui essi sono ospiti. Una quotodianità che nulla ha da invidiare, in termini di qualità dei rapporti e di autenticità dei sentimenti, a quella vissuta dai ‘sedicenti’ sani. Quanto mai suonano attuali le parole della scienziata Marie Curie, secondo la quale "nella vita, non c’è nulla da temere, ma solo da capire”...


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