Vittorio Lussana

Proprio in questi giorni, Papa Benedetto XVI, in quel di Velletri, ridente cittadina agricola situata pochi chilometri a sud Roma, ha dichiarato che “se prevale la logica del profitto, esso diviene un sistema che produce gravi ingiustizie e non va considerato l’unico modello valido di organizzazione economica”. Forse che il ‘teologo Ratzinger’, il nostro ‘Papa intellettuale’, abbia cominciato ad elaborare alcune riflessioni importanti intorno alla condizione complessiva del nostro pianeta? Sembrerebbe proprio di sì. Infatti, per quanto la sua affermazione possa essere apparsa persino un po’ banale, essa affonda le proprie radici in un nuovo contesto culturale teso ad inquadrare la realtà socio-economica del mondo in una visione che ponga l’umanità al centro del dibattito internazionale, in particolare sui temi dell’emergenza ambientale e climatica, così come su quelli dei diritti fondamentali del singolo individuo. Possiamo continuare a perseguire un modello sociale di massimizzazione della produttività e della redditività? Possiamo continuare ad accettare che la crescita di Paesi come la Cina avvenga attraverso il totale annullamento dei diritti dei lavoratori? Possiamo fare qualcosa contro un livellamento verso il basso della nostra cultura e della nostra arte in nome della mediocrità di massa? Queste le domande che alcuni ambienti vaticani si sono, finalmente, posti. Il profitto, naturalmente, è cosa legittima e, nella giusta misura, addirittura necessaria allo sviluppo economico di un Paese. E l’avvento sul quadrante della storia di una moderna economia dell’impresa ha portato con sé numerosi aspetti positivi, basati sulla libertà della persona che intende esprimersi nei settori economici e professionali. Tuttavia, è divenuto evidente come sia in atto, negli ultimi decenni, un fenomeno di logoramento del legame fra lavoro e capitale, poiché il sistema capitalistico ha la capacità di disgiungere il possesso del capitale stesso dal suo impiego nella produzione di beni e servizi. L’egemonia del capitale finanziario è lo stadio supremo del capitalismo. Ma all’interno di un simile ‘quadro di insieme’, il pensiero socio-economico di massa non sempre riesce ad individuare la delicatezza del rapporto fra lavoro e capitale, riducendo ogni considerazione ad una relazione fra consumatori e mercati che pone al centro del sistema l’antica utopia della ‘concorrenza perfetta’ in quanto panacea di tutti i mali, se non addirittura come ‘pensiero unico’. Il richiamo del Papa può dunque rappresentare uno stimolo in favore di un ‘ravvivamento’ del pensiero sociale della Chiesa, maggiormente consapevole dei processi di accumulazione di ricchezza che si realizzano solamente per pochi, calpestando i diritti del singolo individuo, nonché sfruttando cinicamente e senza scrupolo alcuno le risorse del pianeta. In tale direzione, dopo la caduta dell’altra ‘utopia’, quella comunista, proprio la Chiesa potrebbe assumere un ruolo di maggiore autorevolezza, dando nuova speranza ai necessari cambiamenti che debbono essere affrontati. Sempreché il ‘nostro’ Ratzinger sappia comprendere l’esigenza di evitare di chiudere il mondo cattolico al confronto sui cosiddetti ‘temi etici’, i quali comportano evidenti interazioni con quelle problematiche di carattere sociale che obbligano a scelte anche dolorose sul piano morale. L’emergenza della fame, quella ecologica e quella climatica dimostrano, con crescente evidenza, che una logica ‘selvaggia’ del profitto finisce con l’incrementare la sproporzione tra ricchi e poveri ed un rovinoso sfruttamento del pianeta. Ma per far comprendere questo al mondo intero e fare in modo che esso abbia ancora la forza di indignarsi di fronte alla ‘vera immoralità’, noi non abbiamo bisogno di un teologo e, forse, nemmeno di un Papa: potrebbe bastare semplicemente il pastore di quel vecchio ‘gregge’ chiamato umanità.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale "7 giorni di cattivi pensieri" pubblicata sul sito web di informazione politica www.diario21.net)

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