Avrebbe meritato un nome accogliente e beneaugurante, la bimba del Kosovo del 1990. Ma ‘Chiamatela Venerdì’ (Smasher Edizioni) è l’imperativo con cui il nonno paterno, dispotico e violentissimo, respinge la sua nascita, guardando il calendario. Avrebbe voluto un maschio, in una famiglia patriarcale improntata sulla violenza e sulla vessazione delle figure femminili. Da questa storia, la più atroce tra le atroci, prende il nome il testo scritto da Guendalina Di Sabatino, laureata in Scienze politiche, già dirigente del Pci di Teramo. Presidente del centro culturale 'Hannah Arendt', porta avanti il suo impegno sul rispetto delle diversità contro ogni forma di violenza. Con la scrittrice Edith Bruck, sopravvissuta ad Auschwitz, è impegnata a mantenere viva la memoria della Shoah. In stretta coerenza con il suo impegno politico che si batte per le pari opportunità contro la violenza di genere è uscito, come libro di esordio, questa raccolta di testimonianze preziose di donne che hanno subito violenze e sopraffazioni. Un testo che vibra di passione autentica, mai atteggiata, ma viva e concreta, perché sempre concreto e mai intellettualisticamente impostato è l’impegno dell’autrice in favore delle donne. Il testo presenta la prefazione di Stefano Ciccone, sociologo, fondatore di ‘Maschile Plurale’: “Da molti anni impegnato, come uomo, in un lavoro di riflessione, ma anche di iniziative contro la violenza maschile sulle donne”. E c'è anche la postfazione e riflessione di Lea Melandri, giornalista, attivista, femminista e saggista: “Sono racconti e riflessioni come quelli raccolti da Guendalina Di Sabatino a restituire ciò che nelle teorie e nelle analisi sul sessismo ancora restano in ombra: le ambiguità, le contraddizioni di un dominio che ha intrecciato e confuso bisogno di amore e asservimento, tenerezza e violenza”. Lea Melandri punta dritta al cuore del problema: quella perversa relazione che si instaura tra bisogno di amore e violenza. Il testo squaderna con uno stile mimetico e di grande impatto emotivo la vita di sei donne che si raccontano a Guendalina Di Sabatino, mettendo a nudo il proprio dramma. “La figlia di Aida, Liana, Venerdì, Elvia, Dalida e Gabriella", scrive l'autrice nella sua introduzione, sono le protagoniste "della loro vicenda umana di donne che mi hanno consegnato le proprie testimonianze di quotidiana violenza domestica contenute in questo libro si intreccia al mio impegno politico e femminista contro la violenza maschile. Sono donne con cui negli anni ho costruito una relazione di fiducia basata sul solidale ascolto confidente reciproco. Di fronte a simili drammi, avvallati da una cultura patriarcale per tradizione millenaria, non basta l’indignazione”, osserva a sua volta Stefano Ciccone nella prefazione, “ma è importante impegnarsi in prima linea rimodulando gli stereotipi di genere e portando avanti una fattiva rieducazione dei maschi, a partire dalla figura fondativa della madre. Capisco”, aggiunge, “l’indignazione, ma questa dovrebbe aprire alla disponibilità di una fatica che è quella necessaria per il cambiamento. Paradossalmente, liquidare gli autori di violenza come ‘mostri’ non accende una reazione più netta contro la violenza, ma la anestetizza: io non conosco ‘mostri’, dunque non mi riguarda”, conclude il sociologo. Parlare di ‘mostri’ crea una differenziazione emotiva. Invece, cominciare a capire che si tratta di ‘maschi che sbagliano’ e che andrebbero rieducati potrebbe arginare, certo non risolvere, una piaga sociale che risale al neolitico, da quando da una cultura del ‘matriarcato’ siamo passati a una del patriarcato. Il testo, insomma, è una operazione culturale e sociale di denuncia di quanto le donne subiscono per mano di uomini, fino al ‘femminicidio’, termine coniato dal femminismo. Una raccolta di testimonianze vive di dolore e angoscia, che dovrebbe essere in ogni casa, scuola e biblioteca come monito a che questo fenomeno dilaniante possa essere contenuto e come input, affinché le donne si decidano a denunciare. Solo il 14% delle ragazze che subiscono violenza denunciano. Il che conferma come le donne si sentano responsabili della violenza maschile e che il sogno mai spento del principe azzurro e della fattoria del ‘mulino bianco’ avvalla e giustifica. “Quando intrapresi il percorso individuale di psicoterapia”, afferma Dalida, la protagonista di una delle vicende riportate dalla Di Sabatino, “alla psicologa che mi chiese come percepissi me stessa, risposi: “Una cacca”. Mi sentivo una nullità, così mi faceva sentire Marcello… Introiettavo le sue maledizioni come se fossero lanciate per meritato castigo”. Le donne vanno rieducate al rispetto di sé, devono ritrovare il proprio io represso e ristrutturare la propria identità, grazie a un percorso analitico. Anche Venerdì, testimone e protagonista della storia più atroce di questo testo, in seguito a un percorso terapeutico lascia il fidanzato violento e vive serenamente. Nemmeno la guerra le fa paura. Un libro di denuncia, ma anche di apertura verso la speranza.