Non avendo alcuna voglia di commentare le
squallide situazioni in cui si infila, perodicamente, il
Governo Meloni, tra
arrampicatrici sociali e
ministri innamorati, affrontiamo questo nostro spazio settimanale parlando di
Elon Musk. Il quale, proprio in questi giorni, ha subìto l’oscuramento della
piattaforma X in tutto il
Brasile. Ovviamente, il
grande magnate di Tesla ha gridato alla
censura, mentendo spudoratamente.
Elon Musk, infatti, già da tempo era stato invitato, tramite
un’ingiunzione della
magistratura brasiliana, a chiudere alcuni profili di
estrema destra che diffondevano
fake news. Si trattava di esposti e denunce presentate già ai tempi di
Bolsonaro, altra
'testa calda' alla
Donald Trump. Tuttavia,
Musk si era rifiutato di chiudere questi profili
molto aggressivi, costringendo il giudice
de Moraes a istruire un processo per i vari reati
d’istigazione all’odio e di
diffamazione perpetrati su
X. Ora, la
legge brasiliana stabilisce che tutti gli atti di un
procedimento giudiziario debbano essere
notificati alla controparte, presso il
legale rappresentante dell’azienda sottoposta a indagine. Questa procedura non è affatto
'strana': ci sono Paesi in cui il magistrato ti convoca direttamente a processo, con la nota formula:
“Lo Stato contro Tizio e Caio”. E altri, invece, tra cui il
Brasile (ma anche l’Italia, ndr) in cui le
parti coinvolte in una
causa legale, anche quelle costituitesi come
parte civile, hanno il diritto di sapere in quale
veste e per quale
motivo debbano presentarsi in tribunale. Quindi, è
obbligatorio nominare un
rappresentante legale a cui
notificare gli atti, che nel caso di
Elon Musk era
un’avvocata la quale, resasi conto di dover affrontare un processo già perso in partenza, ha respinto l’incarico,
dimettendosi. Non potendo
notificare l’atto, il giudice
de Moraes, titolare dell’inchiesta contro
X, ne ha perciò disposto
l’oscuramento. Si badi bene: legalmente parlando,
l’impuntatura di
Elon Musk è una mossa
non molto furba. Il
Brasile, infatti, è molto popoloso ed è il
quarto Paese al mondo per numero di utenti su
X. In secondo luogo, se
Musk avesse nominato, entro
24 ore, un nuovo
consulente legale, come imposto per legge
dall’ordinamento brasiliano - cosa
'fattibilissima' per lui - il blocco della piattaforma sarebbe stato tranquillamente
evitato. Viceversa, il
'riccone sudafricano' non lo ha fatto. E le cose, alla fine, hanno preso la
'piega' che tutti conosciamo. Ma c’è di più.
Elon Musk è, ormai, un
attore politico a tutti gli effetti, che sta finanziando la
campagna elettorale di
Donald Trump. E’ una cosa, questa, che negli
Usa si può fare:
nulla da dire. Tuttavia, egli ha iniziato a
'postare' sui
social notizie totalmente
'campate per aria', accusando la
magistratura brasiliana di voler impedire la
libertà d’espressione. E, giacché c’era, ha iniziato a occuparsi della
campagna presidenziale degli
Stati Uniti in
prima persona, accusando la candidata democratica,
Kamala Harris, di
estremismo di sinistra. In un nuovo
post dei giorni scorsi, per esempio,
Musk ha paragonato la consultazione per la
Casa Bianca a un confronto tra
comunismo e
Donald Trump. Ma anche in questo caso, l’impressione generale è stata quella di un
'boomerang', lanciato da un
'bambinone' assai poco esperto di campagne elettorali: non esiste, infatti, alcun
esponente o
deputato del
Partito democratico americano che intrattegna rapporti economici - o di qualsiasi altro genere - con quei Paesi che ancora si richiamano al
capitalismo di Stato marxista. Al contrario, è proprio
Elon Musk ad avere rapporti diretti con la
Cina popolare: la sua
Tesla elettrica viene fabbricata
proprio là, tramite una
partnership stabilita
'nero su bianco' con il governo di
Pechino. Per farla breve, il
regime cinese, già nel
2017 aveva prima
'salvato' Tesla dal
fallimento, che per ammissione dello stesso
Musk era ormai
“a un mese dalla bancarotta”. In seguito, ha concesso
all'imprenditore sudafricano numerosi
incentivi e il permesso di costruire una
'giga-factory' a
Shanghai. Un’operazione che ha aperto a
Tesla un
mercato immenso non solo per vendere le
auto elettriche, ma anche in termini di
manodopera a basso costo. Insomma, questa
ingenua propaganda ideologica, basata su
affermazioni totalmente arbitrarie e
attribuzioni molto
fantasiose (secondo i criteri fissati da Steve Bannon, ndr) è ancora convinta di riuscire a provocare una
nuova ondata antidemocratica o di poter
condizionare le
elezioni presidenziali negli
Usa. Senza accorgersi, però, che la situazione
sta cambiando e che, dopo i disastri già provocati nel corso di questi ultimi anni, la
'marea' demagogica è ormai entrata nella sua fase di
risacca o di
riflusso. Perché le
bugie hanno le
gambe corte: lo sappiamo tutti. Sin dai tempi in cui eravamo
bambini.
(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!' pubblicata su www.gaiaitalia.com)