Superate, in qualche modo, le
consultazioni europee, osserviamo come le
donne, in politica, stiano finalmente assumendo un maggior
peso. Oltre alla rieletta presidente della Commissione Ue,
Ursula von der Leyen, abbiamo la premier estone,
Kaja Kallas, designata come Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. La
Repubblica italiana è saldamente guidata da
Giorgia Meloni, la quale si confronta con un’opposizione capitanata da
Elly Schlein, segretaria nazionale del
Partito democratico. La premier
Meloni, inoltre, presiede a
Bruxelles il gruppo dei
'Conservatori e Riformisti europei', anche se tale compagine parlamentare risulta indebolita dalle fuoriuscite dei leghisti e dal travaso di
‘Vox’, formazione spagnola, tra le fila dei
'Patrioti per l’Europa', che ha visto la confluenza anche del presidente dell’Ungheria,
Viktor Orbàn. Infine, la presidenza del
parlamento europeo ha visto la riconferma della maltese
Roberta Tedesco Triccas Metsola, del gruppo del
Ppe. Tutto bene, dunque? Non del tutto: il mondo della politica rimane connotato da una
disuguaglianza di genere assai maggiore rispetto a quella che si può riscontrare in altri
'ambienti'. Abbiamo sicuramente fatto dei
passi in avanti, ma ancora non si è raggiunta, sul lato sostanziale, una effettiva
parità di genere. Disparità evidenti si segnalano, per esempio, nelle
amministrazioni locali. E se la rappresentanza femminile non aumenta nei
Consigli comunali e
regionali, bisogna cominciare a preoccuparsi, perché quelle sono le
principali vie d’accesso per una selezione amministrativa in grado di evitare le
'cooptazioni' simboliche o l’utilizzo delle donne come
'figurine' puramente d’immagine, in qualche caso portatrici anche di
arretratezze 'tribali'. Il problema è soprattutto di tipo
inclusivo: a
destra si ignora il problema come un
risvolto del
classismo tradizionalmente imperante; a
sinistra, la questione viene coerentemente
denunciata ma
non la si affronta veramente. Molti problemi esistono, nello specifico, nei
Partiti politici, ormai ridotti a semplici
comitati elettorali impegnati in una
stravagante deriva verso il
personalismo all’americana, anziché selezionare
squadre amministrative competenti nelle rispettive materie. Eppure, le
donne in politica sono più
collaborative e
bipartisan, stemperano le vecchie '
incrostazioni ideologiche' di appartenenza che, al contrario, sembrano riapparire sottoforma di una
polarizzazione eccessiva, puramente
propagandistica: un chiaro segnale circa la presenza di alcuni meccanismi di
resistenza occulta. Un nuovo protagonismo delle
donne potrebbe, invece, riavvicinare la popolazione alla
partecipazione democratica, grazie a una maggior trasparenza nei
processi decisionali. E anche i
livelli di corruzione, secondo noi, sarebbero più
bassi. Infine, di
destra o di
sinistra, le
donne hanno una maggior sensibilità verso
l’analisi sociale, destinando maggiori risorse verso nuove politiche per le
famiglie, per la
salute o di attenzione al
welfare. Il tema della
disuguaglianza di genere incrocia, dunque, quello di una politica basata sulla
misurazione dei risultati raggiunti, anziché fermarsi sulla soglia della
percezione demagogica. E non è solamente una
questione quantitativa, bensì di
ruoli. Aumentare la rappresentanza femminile nei
parlamenti, nei
governi e negli
enti locali potrebbe essere un primo modo per combattere il forte
astensionismo, causato da un
ceto politico sempre meno
incisivo nell’affrontare i
problemi reali dei cittadini.
Direttore responsabile di www.laici.it