Vittorio LussanaSuperate, in qualche modo, le consultazioni europee, osserviamo come le donne, in politica, stiano finalmente assumendo un maggior peso. Oltre alla rieletta presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, abbiamo la premier estone, Kaja Kallas, designata come Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. La Repubblica italiana è saldamente guidata da Giorgia Meloni, la quale si confronta con un’opposizione capitanata da Elly Schlein, segretaria nazionale del Partito democratico. La premier Meloni, inoltre, presiede a Bruxelles il gruppo dei 'Conservatori e Riformisti europei', anche se tale compagine parlamentare risulta indebolita dalle fuoriuscite dei leghisti e dal travaso di ‘Vox’, formazione spagnola, tra le fila dei 'Patrioti per l’Europa', che ha visto la confluenza anche del presidente dell’Ungheria, Viktor Orbàn. Infine, la presidenza del parlamento europeo ha visto la riconferma della maltese Roberta Tedesco Triccas Metsola, del gruppo del Ppe. Tutto bene, dunque? Non del tutto: il mondo della politica rimane connotato da una disuguaglianza di genere assai maggiore rispetto a quella che si può riscontrare in altri 'ambienti'. Abbiamo sicuramente fatto dei passi in avanti, ma ancora non si è raggiunta, sul lato sostanziale, una effettiva parità di genere. Disparità evidenti si segnalano, per esempio, nelle amministrazioni locali. E se la rappresentanza femminile non aumenta nei Consigli comunali e regionali, bisogna cominciare a preoccuparsi, perché quelle sono le principali vie d’accesso per una selezione amministrativa in grado di evitare le 'cooptazioni' simboliche o l’utilizzo delle donne come 'figurine' puramente d’immagine, in qualche caso portatrici anche di arretratezze 'tribali'. Il problema è soprattutto di tipo inclusivo: a destra si ignora il problema come un risvolto del classismo tradizionalmente imperante; a sinistra, la questione viene coerentemente denunciata ma non la si affronta veramente. Molti problemi esistono, nello specifico, nei Partiti politici, ormai ridotti a semplici comitati elettorali impegnati in una stravagante deriva verso il personalismo all’americana, anziché selezionare squadre amministrative competenti nelle rispettive materie. Eppure, le donne in politica sono più collaborative e bipartisan, stemperano le vecchie 'incrostazioni ideologiche' di appartenenza che, al contrario, sembrano riapparire sottoforma di una polarizzazione eccessiva, puramente propagandistica: un chiaro segnale circa la presenza di alcuni meccanismi di resistenza occulta. Un nuovo protagonismo delle donne potrebbe, invece, riavvicinare la popolazione alla partecipazione democratica, grazie a una maggior trasparenza nei processi decisionali. E anche i livelli di corruzione, secondo noi, sarebbero più bassi. Infine, di destra o di sinistra, le donne hanno una maggior sensibilità verso l’analisi sociale, destinando maggiori risorse verso nuove politiche per le famiglie, per la salute o di attenzione al welfare. Il tema della disuguaglianza di genere incrocia, dunque, quello di una politica basata sulla misurazione dei risultati raggiunti, anziché fermarsi sulla soglia della percezione demagogica. E non è solamente una questione quantitativa, bensì di ruoli. Aumentare la rappresentanza femminile nei parlamenti, nei governi e negli enti locali potrebbe essere un primo modo per combattere il forte astensionismo, causato da un ceto politico sempre meno incisivo nell’affrontare i problemi reali dei cittadini.




Direttore responsabile di www.laici.it

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