Sembrerebbe
l’incipit di una fiaba di
Esopo. E invece è uno dei
paradossi più suggestivi del
panorama filosofico di tutti i tempi, che gli estimatori di
cultura umanista conoscono molto bene. E’ davvero misterioso il significato che si cela dietro
quest’allegoria. E viene da pensare che il suo ideatore,
Zenone, nel corso del
V secolo a. C. abbia volutamente omesso di fornire una
'chiave' interpretativa specifica. Un possibile significato potrebbe risiedere nella constatazione circa la
complessità dell’essere umano. Ogni individuo, infatti, è un
abisso di mistero. La ricchezza e la profondità della sua anima e, in particolare, la complessità delle
dinamiche psicologiche insite nell’uomo, ne costituiscono un fattore di progresso, ma al contempo, allorquando si genera un
conflitto interiore, possono configurare un
deterrente per la sua crescita, fino a determinarne il completo
immobilismo. In questo senso si potrebbe, forse, spiegare il
paradosso in oggetto, secondo cui
l'evoluzione dell’essere umano, in fondo, è
un’illusione. Non può non cogliersi l’estrema
attualità di questa
metafora filosofica, se si guarda agli esiti delle ultime
elezioni svoltesi in
Russia nel marzo scorso.
L’acclamazione plebiscitaria che ha fatto da sfondo alla riconferma di
Vladimir Putin al vertice delle istituzioni russe ha senz’altro un
impatto disarmante sull’opinione pubblica, poiché mostra un popolo completamente
plagiato, per non dire
'drogato'. Purtroppo, nella realtà in cui siamo immersi, sembra sempre più consolidarsi la prassi secondo cui
niente va mai come dovrebbe. Un’umanità che conosce, ormai, soltanto la
logica del potere e
del consumo ha edificato una società fondata
sull’assurdo, in cui la
tragedia ha ceduto definitivamente il posto alla
farsa. Insomma,
Putin è al potere perché il
popolo lo vuole. E come
dar torto a chi
afferma questo? La matematica non è un’opinione:
l’87% dei consensi significherà pur qualcosa, no? Ma chi sostiene questo, in fondo, checché se ne dica, rappresenta buona parte della
società civile. La quale, tuttavia, ignora altri
due paradossi, entrambi tratti, questa volta, dalla
psicopatologia clinica. Si tratta della
‘sindrome della rana bollita’ e
dell’impotenza appresa. Esse sono le
due facce della stessa
medaglia: inquadrano quella particolare
condizione umana per cui un individuo, abituato a sopportare sistematicamente le
sopraffazioni, finisce per
accettarle, senza opporvi più resistenza. E’ una
realtà clinica molto più diffusa di quanto possa sembrare, ormai radicata anche nei
gangli della
'civilissima' e
filoamericanissima società in cui viviamo.
L’assuefazione a ogni forma di
forzatura, corruzione e
disuguaglianza ci ha definitivamente
disumanizzato, rendendoci incapaci di provare ogni forma di
sdegno o di
dolore. La ricerca costante della guida
dell’uomo 'forte' è la conseguenza inevitabile di tutto ciò: ci si
rassegna all’idea che siamo destinati a soggiornare eternamente in uno stato di
minorità, in attesa che un imprecisato
'superuomo' scenda in campo, di tanto in tanto, per guidarci fuori dalle
tenebre dello spirito in cui siamo
immersi. E non si tratta certamente di qualcuno che si distingua per particolari
doti o
finalità morali, tutt’altro: ci si ritrova, piuttosto, ad avere a che fare con
soggetti non certo più
intelligenti, ma semplicemente più
'furbi' della media. Abili
'pupari', più pratici degli altri nel saper muovere i
'fili' che ormai, completamente storditi e inermi, ci avvincono. Non si comprende, invece, che
l’evoluzione individuale è un sentiero
lungo e
tortuoso, costellato di
cadute, come quelle che caratterizzano il percorso di crescita di un bambino. Soltanto da queste s’impara a
rialzarsi e a
rimanere in piedi sempre più a lungo e stabilmente. A patto che ogni
caduta non sia intesa semplicemente come una
replica delle precedenti, bensì un’occasione inedita per
conoscere meglio se stessi e il mondo che ci circonda. E’ quindi sulla valorizzazione del
'merito', che nuovamente si gioca la
partita della rinascita. Tuttavia, affinché il movimento non resti soltanto
un’illusione 'zenoniana', ma assuma fattezze e connotazioni concrete, è necessario rifondare le basi di
un’umanità diversa su un
risveglio della mente, su una
selezione della
classe dirigente fondata su
parametri valoriali il più possibile
oggettivi, basati su una solida
formazione culturale, sul rafforzamento delle
competenze e non sull’osservanza di vuote quanto equivoche
prassi formali. Perché non c’è proprio niente da fare:
è la cultura a rendere liberi. E’ la fatica dello
studio quotidiano, del
lavoro onesto, l’amarezza della
sconfitta e la soddisfazione per una
vittoria guadagnata a purificare e a
emancipare le coscienze dalle proprie
lacune e
fragilità. Ed è solo in questo modo che
l’autonomia individuale torna a essere il fine a cui tendere, capace di
sbaragliare tutti i pronostici e, a maggior ragione, gli
esiti plebiscitari di
elezioni politiche 'feticcio'.