I reparti militari
‘italiani’ costituiti alla fine del
XVIII secolo per affiancare l'esercito di
Bonaparte, presentavano stendardi che proponevano i vessilli reggimentali della
Legione Lombarda con i colori
bianco, rosso e
verde, fortemente radicati nel patrimonio collettivo di quella regione. Il
bianco e il
rosso, infatti, già comparivano nell'antichissimo stemma comunale di
Milano (croce rossa su campo bianco), mentre
verdi erano, fin dal
1782, le uniformi della
Guardia civica milanese. Pertanto, il nostro tricolore è di discendenza
‘giacobina’. Esso proviene, cioè, dalla
Rivoluzione francese e dalle idee di
liberalismo e di
democrazia diffuse in tutta
Europa da
Napoleone. Un’epoca in cui il
liberalismo era la
matrice protestante che si contrapponeva al
dominio feudale dei ceti
aristicratici e
dell'ancien régime, non una
mera ‘stampella’ dei gruppi
conservatori, come spesso accaduto qui da noi. Un
liberalismo che declina verso il
conservatorismo perde, infatti, le sue
potenzialità riformatrici, per assumere, altresì, una veste
restauratoria, meramente
difensiva delle
classi borghesi e del
clero. Un
liberalismo che s’impone
gerarchicamente non è altro che
sterilità morale: una forma di
cinica malignità che genera, quasi esclusivamente, forzature.
Nell’Italia immediatamente postunitaria, ciò lo si poteva anche
comprendere: siamo il frutto di un
Risorgimento ‘elitario’, guidato da
poche menti illuminate che hanno presto dovuto
'farsi Stato'. Le giustificazioni del caso ci sono tutte, insomma. Ma proprio nel momento in cui il
‘giolittismo’ stava operando le prime
aperture verso il
socialismo riformista ‘turatiano’, immediatamente i nostri
ceti produttivi si rinserrarono nel
fascismo, probabilmente spaventati dal
‘biennio rosso’ (1919-1921) dei primi decenni del secolo. Ciò ha sempre rappresentato una grande
occasione mancata in termini
culturali, poiché il
disegno riformista di
Filippo Turati, per quanto
gradualista, poteva rappresentare un buon
sentiero di avanzamento e di
emanicipazione dei
ceti popolari: sappiamo bene com’è andata ed è inutile ripetersi. Inoltre, una riunificazione ottenuta sotto la guida di una
monarchia ha allontanato per lungo tempo la possibilità di realizzare le
idee repubblicane di
Giuseppe Mazzini. Ovvero, dell’uomo che prima di ogni altro aveva intuito che il nostro
vessillo dovesse essere composto proprio dalle tre bande verticali della
Repubblica Cispadana. Ma le
buone idee sono sempre destinate a
risorgere. Compresa quella di una
forma di governo repubblicana. E quelle di
Giuseppe Mazzini erano ottime,
modernissime. Si tratta del pensatore a cui la
Storia ha dato veramente ragione, poiché fortemente
in debito con lui. Ciò è avvenuto con ritardo, forse, come in tutte le cose che riguardano
l’Italia. Ma il nostro vero
‘Padre della Patria’ è proprio lui:
Giuseppe Mazzini. E con il passare dei giorni, degli anni, dei decenni e dei secoli la sua figura
giganteggia sempre più nella nostra
Storia e innanzi ai nostri occhi.
“Un brigante italiano”, lo definì una volta il
conte von Metternich. Un brigante le cui idee, democratiche e repubblicane, c’insegnarono a cercare nel nostro simile
l'uomo, non il
ricco o il
potente e ad ammirare, più che la
boriosa atteggiata mezza-sapienza, la tacita, inavvertita, virtù di
sacrificio che, nei momenti decisivi,
emerge da dentro noi.