Esauriti gli
aggettivi superlativi con i quali è stata circondata, per quasi un anno, la nuova guida del
Governo italiano, sta arrivando a passi spediti l’ora di un
giudizio elettorale e di un primo reale
‘tagliando’ sul consenso reale che essa é riuscita a consolidare dopo il lungo periodo di
apprendistato. Sarà quindi il voto decisivo per
l’Europa a qualificare e stabilire se quello di fronte al quale ci troviamo sia un quadro politico di
lungo periodo, che s’inscrive con l’avanzata delle
destre moderate in occidente e delle
autocrazie nel mondo o se la particolare
mobilità e
pluralismo della società italiana contiene ancora degli
anticorpi, necessari per evitare che esso, in mancanza di reali alternative, si trasformi in una sorta di nuovo e duraturo
regime dello stato delle cose.
Giorgia Meloni ha fallito su diversi terreni e sembra sopravvivere alla giornata, seppur sola al comando. La scomparsa di Silvio Berlusconi, lo scomposto tentativo di riprendere spazio di
Matteo Salvini, la inconsistente e autolesionistica postura di
Fratelli d’Italia, la rafforzano nei propri poteri e nella sua
centralità politica. In teoria, una condizione perfetta per consolidare una prospettiva di
lungo periodo, nel quale incarnare una fusione di elementi che, sebben incompatibili, appaiono, da lei interpretati,
possibili: il
sovranismo nazionale e la cieca
obbedienza atlantica, l’esaltazione di confini e frontiere dentro il quadro più largo di
un’Europa della Nazioni, che non si trasforma in continente federato. Questo sulla carta. Il realismo e i fatti hanno, tuttavia,
dimostrato altro. In assenza di un reale e praticabile disegno strategico-politico ed economico per la società italiana, sono passati mesi nei quali l’impressione che ha dato é quella di
vivere alla giornata, difettando nel realismo e abbandonando, gradualmente, le parole d’ordine della propria campagna elettorale:
punti cardinali attorno ai quali si è registrata la
disfatta più vistosa. Innanzitutto,
sull’immigrazione, dove al
“blocco navale” si è opposta la più robusta ondata di
ingressi clandestini e anche di quelli
regolari, richiamati dall’esigenze dell’economia italiana; sul
fisco, dove nonostante il titolo roboante del
disegno di delega, il Governo ha dovuto fare i conti con il
realismo, che prevede una minore entrata del gettito e una difficile applicazione di
‘tasse piatte’ che non determinino una prevedibile
iniquità. All’abbattimento delle misure di
sostegno sociale e degli
incentivi per l’adeguamento delle nostre abitazioni agli standard richiesti dai parametri stabiliti dalla
transizione ecologica, si é fatto fronte con alcuna misura, lasciando centinaia di aziende del
settore edilizio collassare per i
crediti fiscali inesigibili e i poveri che percepivano il
reddito di cittadinanza, innanzitutto anziani e single, canzonati da una misura, quella della carta
“Dedicata a te”, che li esclude dal percepimento. I ritardi della acquisizione delle quote del
Pnrr e lo slittamento del
Mes, utilizzato come
metro propagandistico per segnare il proprio distacco dal
circuito europeo, sono una sorta di
Caporetto della politica economica del Governo, che tutto appare tranne che fondata su un
realismo politico che pure era sembrato, all’inizio, orientare le scelte di
Giorgia Meloni: su tutte, la posizione in
difesa della
sovranità ucraina, a dispetto dei propri
alleati di Governo, tradizionali
amici e
alleati di
Vladimir Putin. Una posizione quest’ultima che, tuttavia, cerca di ritagliarsi più che un ruolo politico e strategico fondato su una reale ricerca di
dialogo, nella reciprocità degli interessi, con l’altra sponda del
Mediterraneo, in linea con la tradizione italiana post-bellica, sembra fare una eco piuttosto
sgradevole alle tradizioni peggiori del
post-colonialismo incapace di comprendere i movimenti di reale trasformazione delle
società arabe negli ultimi trent’anni. Se lo scontro con la
magistratura sembra forzosamente voler replicare, in
farsa, il duello che ha opposto la politica democratica alle gerarchie del
potere giudiziario alla fine degli
anni ‘90 (duello nel quale
la destra di
Giorgia Meloni, giustizialista, si è sempre schierata a fianco delle toghe) e se
l’occupazione sistematica del potere pubblico non modifica di una virgola il modello sin qui tenuto da tutte le forze che si autodefinivano di
cambiamento - e che null’altro sono se non una pallida imitazione dei tempi andati - l’impressione che si ha é che siamo di fronte a un’ennesima
prova maldestra di cancellare la reale entità della crisi del
sistema politico italiano e delle sue
classi dirigenti, con un modello
‘a cavallo’ fra il
continuismo conservatore e un
populismo di conio europeo, dove si uniscono elementi e di
neo-tradizionalismo religioso al
‘messianesimo’ da cui sono circondati i
leader, la cui
ascesa repentina al potere è pari alla loro
discesa. Sarà questo
lungo anno di
campagna elettorale a testare la fibra di
Giorgia Meloni e a rivalutare la capacità di reale alternativa delle forze che, definendosi di
progresso, si attardano in difesa di posizioni che fotografano
l’inadeguatezza dell’esistente, ma non riescono a costruire un
progetto di governo che si inserisca nelle reali
contraddizioni della
destra. Una lunga sfibrante campagna attende
l’Italia.