Curiosa e illuminante la distinzione che si pone, in questa particolarissima fase storica, tra
arte e
tradizione. Curiosa, perché i due concetti non sono affatto
distanti tra loro; illuminante, perché esiste
un’arte della tradizione che di distingue nettamente
dall’arte contemporanea. Innanzitutto, la
tradizione pone alcuni problemi: la sua comunicazione decodificata aumenta i
margini di arbitrio della nostra
interpretazione; in secondo luogo,
l’arte tradizionale non è affatto un concetto
statico e
immutabile, come generalmente si crede. Al contrario,
anche le tradizioni mutano, forse più lentamente, ma inesorabilmente. Infine, rispetto
all’arte contemporanea, il messaggio che l’artista ci comunica è molto più
diretto, meno implicito. Si potrebbe dire che la vera distinzione, alla fine, non sia tra
tradizione e
contemporaneità, ma tra
arte e
mediocrità. Ovvero, l'idea di sintesi finale rimane un concetto di
vera arte, a prescindere dalla sua appartenenza al primo o al secondo campo. Ma anche tale conclusione
‘gentiliana', in un certo senso, chiude in una
gabbia la contesa tra
arte tradizionale e
contemporanea. Mentre lasciando
‘crocianamente’ aperta la porta della
distinzione o della
divaricazione, si consente
all’arte stessa di
rinnovarsi, anche quella più antica e tradizionale. La
vera arte, infatti, è tale perché riesce a superare i limiti classici dell’uomo: la
mortalità e
l’infinito. L’uomo non potrà mai avere esperienza in merito a tali concetti, mentre
l’arte, sia quella tradizionale, sia quella contemporanea,
vince la morte e il
concetto estetico di bellezza finita, immersa nel mondo materiale. E questa cosa è accaduta tantissime volte, sia nel campo
dell’arte tradizionale – con la
Venere del Botticelli, per esempio – sia in quella
contemporanea, con
Andy Warhol e molti altri. Pertanto, il vero problema che si pone di fronte alla
tradizione è un concetto molto
‘largo’ di
arte. Secondo alcuni, la
tradizione consiste nel mantenere un legame con
l’autenticità del
momento originario dell’opera d’arte, sia quella
antica, sia quella
rinascimentale, sia quella
barocca e così via. In buona sostanza, tutte queste
arti, in un certo senso, appartengono alla
tradizione. Ma allo stesso modo, tutte quante sono
molto diverse tra loro. Dunque, anche la
tradizione è soggetta a mutazioni, seppur per grandi cicli, in quanto
macina implacabile, che rende la definizione stessa di
tradizione pressocché
impossibile da
definire con precisione. Insomma, per farla breve: il vero
limite dell’arte non risiede nel tempo o nello spazio, ma nell’occhio di chi guarda e di chi giudica.
L’arte non è un qualcosa che risiede
fuori dal nostro mondo, né un’attitudine
decorativa che circonda le nostre vite. Quindi, tale dilemma va riportato su un
tavolo anatomico più ‘freddo’: quello
culturale. E sul piano culturale, di solito si giudica
ciò che si conosce, mentre dovremmo sospendere il nostro giudizio quando ci troviamo di fronte a un
qualcosa di nuovo, che non conosciamo, poiché
contemporaneo. E questo è
l’approdo finale del ragionamento per qualsiasi
storica dell’arte come la sottoscitta: la
tradizione è pressoché
indefinibile, mentre la
contemporaneità è ancora in divenire, dunque
ingiudicabile. Ma qui ci viene in aiuto la particolare
ottica ‘marxiana’, la quale ci dice che, in fondo, l'intera
Storia dell’arte non è altro che la
Storia delle committenze, dei
mecenati o di
chi ‘paga’ per ottenere
un’opera d’arte. Per cui, anche in questo caso, la distinzione tra
arte tradizionale e
contemporamea torna ad annullarsi. Non in senso
idealistico, come nel casi di
Hegel, Bertrando Spaventa e Giovanni Gentile, ma come
concetto materialista. Per cui, tra la
'Natura morta' di
Caravaggio e la
‘Banana’ di
Maurizio Cattelan non vi è alcuna differenza: sono entrambe
visioni del mondo volute o imposte da una forma di potere.