Elisabetta Chiarelli
Bologna, 2 agosto 1980: un ordigno ritrovato all’interno di una valigia abbandonata esplode facendo crollare l’ala ovest della stazione centrale del capoluogo emiliano. Il bilancio delle vittime è di 85 morti e 200 feriti. Sono passati più di quarant’anni da quella tragica giornata. E l’ultimo atto della complessa vicenda processuale, riguardante quella strage, risale all’11 febbraio 2020. La Procura generale di Bologna ha infatti indicato definitivamente, quali mandanti dell’eccidio, Licio Gelli, Maestro venerabile della Loggia massonica P2, il banchiere Umberto Ortolani, il senatore missino Mario Tedeschi e il dirigente generale di Pubblica sicurezza, Federico Umberto D’Amato. Quarant’anni per riscontrare che le menti nascoste dietro quell’abominio risiedevano nel cuore delle istituzioni. Decenni di depistaggi, attribuiti ai servizi segreti deviati, assecondati da una classe politica riluttante ad assumersi ogni responsabilità, offrono il quadro di un Paese che stenta a maturarsi. In Italia non è mai possibile dare un ordine alle cose. La politica viene sempre strumentalizzata nel modo più squallido, per coprire le manovre tessute dai poteri occulti: gli unici a decidere realmente le sorti della nazione. Dalla ricostruzione storica dei fatti, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti ammisero tutti gli omicidi di quegli anni tranne la strage di Bologna. Verosimilmente, in quanto infamante persino per loro ammettere che alla base di quel crimine non vi fosse la consueta matrice ideologica, ma forze occulte incapaci di concepire il confronto e la comprensione reciproca tra gli italiani. Faccendieri e uomini politici di peso hanno guidato la mano di chi ha realizzato materialmente il compimento di quella strage. Diverse le ‘piste’ battute: da un coinvolgimento della Nato e della Cia insieme ad alcuni vertici istituzionali italiani, all’attuazione di un piano di lotta anticomunista internazionale, fino ad arrivare a un collegamento con il crimine organizzato e con le stragi di mafia. Emerge un quadro terrificante del potere costituito, proteso a dialogare con le forze oscure del Paese, nel tentativo di mantenere il controllo della nazione. E’ chiaro che, se dopo più di quarant’anni non è stato possibile giungere a definire la verità in merito a quei fatti, che qualcosa non abbia funzionato. Come al solito, tutti sono stati bravissimi a occultare e a insabbiare. Forse, si ha paura di conoscere la realtà delle cose di fronte alle più gravi tragedie che hanno attraversato la storia del nostro Paese: dalla scomparsa di Emanuela Orlandi all’uccisione di Marta Russo, la reazione è  sempre la stessa: si è preferito distogliere lo sguardo, rifiutando di accettare quanto sia facile cancellare con un colpo di spugna la vita di tanti innocenti. E forse alberga anche un senso di colpa, per la sostanziale incapacità di proteggere i cittadini. Ma si ignora, al contempo, che questo senso di inadeguatezza non può sparire se non affrontando certe amare verità, cercando con ogni sforzo di comprendere le dinamiche sottese a quei fatti. Al contrario, noi preferiamo credere alla leggenda del ‘lupo solitario’, del terrorista di estrema destra o estrema sinistra che agisce autonomamente, perchè adirato con il sistema. Si preferisce credere alle parole di un Licio Gelli che, praticamente reo confesso del depistaggio, asserì che la causa della strage di Bologna fosse da ricercarsi nel calpestio accidentale di un mozzicone di sigaretta. Rifiutiamo di accettare che l’Italia sia una democrazia fragile, profondamente immatura, da sempre ostaggio di potenze straniere, inesorabilmente dal secondo dopoguerra. Quella guerra che abbiamo perso e che ci ha consegnato, per sempre, allo strapotere dei vincitori, i quali non confidando nella nostra capacità di autoregolamentarci secondo le regole di una normale democrazia dell’alternanza e del ricambio periodico, si dimostrarono disposti a tutto. La verità inconfessabile, forse, è proprio questa. Nulla ci appartiene veramente: interi esecutivi e presidenti del Consiglio possono operare soltanto con la benedizione dei più forti. E’ come se quella maledetta guerra, per noi, non fosse mai finita. L’Italia non può aspirare a una propria autonomia se non a prezzo del terrore perpetrato da mani che ci ostiniamo a definire ‘invisibili’. Ma solo sfidando questo sentimento di paura è possibile porre le basi per cambiare le cose.  Più che prospettare improbabili riforme costituzionali, come il passaggio al presidenzialismo o a un premierato di elezione popolare, si dovrebbe rafforzare una cultura della verità o, più semplicemente, una razionalità nemica della paura. Attraverso la diffusione del sapere, la trasmissione storica dei fatti è possibile, allenare le menti alla curiosità e al desiderio di capire. Quest’ultimo elemento sta, infatti, alla base di quell’empatia che se radicata nella collettività, nel comune cittadino, nel giornalismo investigativo e divulgativo, financo nella magistratura, potrebbe diventare il 'grimaldello' attraverso cui sgombrare quella coltre di omertà e di cinica dissimulazione, per porre in atto una rivoluzione culturale e di mentalità, vera anticamera dell’affermazione della libertà e della giustizia sociale.





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