Elisabetta ChiarelliViene proprio da gridarlo a gran voce, di fronte all’ennesimo sfoggio di ‘buonismo’ perbenista sul tema relativo alla condizione dei detenuti, in occasione della più nota kermesse canora d’Italia. Passi pure la più amata/odiata dagli italiani, con i suoi sproloqui autoreferenziali su se stessa a otto anni; passi anche il bacio omosex in favore di telecamera. Ma, per cortesia, lasciamo i detenuti e il loro dramma fuori dalla tv generalista, capace solamente di banalizzare ogni questione pur di non risolverla. Sembra che il problema di questo Paese sia sempre lo stesso: l’incapacità di trovare tempi e luoghi opportuni per affrontare i problemi; l’irresistibile attrazione nel ridurre tutto a una buffonata; l’abuso del diritto in favore di un esercizio distorto e manipolato degli strumenti di comunicazione e di dibattito che il sistema istituzionale ci fornisce. In pochi mesi di legislatura, si è letto e sentito di tutto: dall’attore intellettualmente impegnato che blatera, in seconda serata, sulla tragicità delle condizioni carcerarie, attribuendo a queste il suicidio di una povera detenuta, in realtà motivato dal rifiuto della sua famiglia a riaccoglierla in casa, agli sproloqui sanremesi delle ‘signore per bene’ in completo Dior. Speriamo che, prima o poi, qualcuno ci spieghi come la complessità e la tragicità di certe tematiche, quali il femminicidio, il bullismo, il razzismo o le condizioni delle nostre carceri, possano giungere adeguatamente all’attenzione dell’opinione pubblica tra una canzone e l’altra, un lazzo, uno scherzo e una ‘cantatina’ al karaoke. Questioni che avrebbero un senso se solo non fosse palese ciò che è tremendamente visibile agli occhi di tutti. Ossia, che a tutti questi benpensanti dei ‘quartieri alti’ non gliene può importare di meno della sofferenza dei detenuti, di chi subisce il razzismo o qualsiasi forma di discriminazione, dei femminicidi o degli episodi di bullismo nelle scuole. Tutto viene ridotto a slogan, moda del momento, notizia del giorno, lasciando il tempo che trova. Oggi, l’establishment e la classe politica di questo Paese ama discorrere delle condizioni carcerarie con la stessa ‘allure’ modaiola con cui si parla delle recenti vacanze invernali a Cortina. Resilienza e gentilezza sono ormai diventati termini odiosi per quanto siano stati abusati e trasudino di ipocrisia, in una società che tutto sa fare tranne che essere gentile con il prossimo. Noi ci confermiamo il Paese della farsa che si confonde con la tragedia, in cui ogni cosa finisce in barzelletta, dove tutto diventa decoroso e presentabile purché lo si sappia raccontare. Una realtà in cui il motto disneyano “se puoi sognarlo, puoi farlo” si colora di significati tutt’altro che rassicuranti. Una società, insomma, in cui si è perso il senso del limite e non si riesce più a distinguere il vero dal falso. E un’umanità sempre più alienata, adagiata sull’ossequio a vuote forme, per sottacere od occultare la carenza abissale di contenuti. E’ veramente triste constatare come tutto questo sia divenuto evidente proprio in Italia, ormai diventata terra di nessuno sotto il profilo culturale, ostaggio di un’omologazione devastante, sempre più consolidata nel proprio ruolo di Repubblica delle banane. Spesso, si dice che la stupidità si associ alla cattiveria: noi pensiamo che la prima sia anche peggiore della seconda; che un devastante dramma sociale sarà il prezzo che ci troveremo a pagare sull’altare del qualunquismo e della banalizzazione dei problemi, funzionali a eluderne la soluzione oltreché facili strumenti per colpire l’avversario nella bagarre politica; e che risuonino quanto mai attuali le parole proferite nelle scritture, così profondamente veritiere nella loro dimensione laica, per le quali si dovrebbe dire “sì” quando si deve dire “sì” e “no”, quando si deve dire “no”. Tutto il resto proviene dal Maligno.





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