Elisabetta ChiarelliCarl Gustav Jung sosteneva che “quando il diavolo intende torturare un’anima, la pone in attesa”. E’ dunque veramente strano come tale concetto assuma connotazioni sempre diverse nell’iconografia cristiana e nell’immaginario collettivo. Attesa, infatti, significa tensione verso qualcosa spesso di irraggiungibile, ma che abbiamo bisogno di sperare sia possibile, per dare senso alla nostra esistenza. Di recente, siamo rimasti colpiti da un paio di articoli sull’argomento. In uno di essi, un noto scrittore parlava della sua smania di perfezionismo, di come questa avesse condizionato la sua prima giovinezza. Una tensione verso l’assoluto, che aveva finito per logorare il suo equilibrio psicologico, la sua autostima. Viceversa, un mistico parlava dell’attesa traendo le mosse dall’esperienza della Vergine Maria consegnataci dalle scritture. Un’esperienza di affidamento totale nella possibilità di compiere l’impossibile, “poiché”, ricordava lo scrivente, “il possibile è consegnato all’opera dell’imprenditore, l’impossibile a quella del sognatore”. Ma in questo tempo così particolare, propedeutico alla nativita’ cristiana, sorge un dubbio. E se ciò che ci illuminasse, quest’attesa dell’impossibile, di quello che neanche osiamo immaginare, fosse invece un qualcosa di tenebroso? E se questo guardare sempre al di fuori di noi stessi ci stia, in realtà, sottraendo quanto di più prezioso la vita ci abbia consegnato, cioè il presente? Forse, siamo troppo abituati a rimandare la felicità, mentre Lev Tolstoj diceva che, se vogliamo essere felici, dobbiamo cominciare a esserlo nel momento stesso in cui lo desideriamo. Le nostre aspettative, ovvero le nostre ‘attese’, non fanno mai i conti con l’imprevedibilità della vita e la mutevolezza degli eventi. Pertanto, ciò che più sentiremmo di chiedere veramente, per questo Natale ormai alle porte, è il dono di saper vivere a pieno il presente, la quotidianità che ci viene offerta ogni giorno. Chiediamo che le nostre anime, spesso inquiete, trovino pace nella valorizzazione degli attimi, dei piccoli gesti, delle piccole attenzioni per noi stessi e per gli altri. Perché nel contemplare il mistero della natività, si guarda ben poco all’esempio della Vergine Maria, che nel silenzio della sua anima coltivava la difficile arte dell’affidamento e serbava con gratitudine nel suo cuore ogni insegnamento, ogni emozione le venisse offerta. Forse, la vita è anche questo. Affidamento: lasciarsi un po’ andare al fluire degli eventi, al concatenarsi imprevedibile delle circostanze, che ci guidi come un condottiero misterioso verso la realizzazione della nostra più vera e profonda identità. Forse, come da qualche parte ci pare di aver letto, “la bellezza profonda dell’esistere non consiste nel protendersi, sempre e comunque, verso qualcosa, ma sostare, piuttosto, nella consapevolezza di non aver nulla da chiedere”. E forse, la parola che, soprattutto a Natale, si dovrebbe proferire di più non è “speranza” o “desiderio”, bensì “ringraziamento”.





Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio