Pietro PisanoIl 20 marzo 2022, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha annunciato la sospensione di 11 Partiti di sinistra, accusati di essere filorussi e l’accorpamento delle reti televisive in un unico canale, per tutta la durata della legge marziale attualmente in vigore. Una decisone, questa, che stride fortemente con quell’immagine di democrazia occidentale, paradigma della nostra civiltà, che rischia di squalificare la narrazione del conflitto di un Paese democratico (seppur con tutte le sue criticità) contro un invasore dal regime dittatoriale. La questione, tuttavia, è ben più complessa di quello che sembra. E non ci si può limitare a una superficiale indignazione per la decisione di Zelensky urlando a pieni polmoni domande retoriche quali: “E’ questa la democrazia di cui andiamo tanto fieri in occidente”? E’ del tutto evidente, infatti, che le normali categorie interpretative di cui disponiamo sono insufficienti, in situazioni complicate come la guerra tra Russia e Ucraina, la quale nasce da tensioni di origine storica e geopolitica. Il punto di non ritorno tra le due nazioni si è avuto tra la fine di novembre 2013 e il febbraio 2014, con le sollevazioni popolari dell’Euromaidan ('Euro', inteso come abbreviazione di Europa, mentre il suffisso ‘Maidan’ si riferisce a Majdán Nezaléznosti, in italiano: piazza dell'Indipendenza, il piazzale principale di Kiev, dove si concentrarono le proteste iniziali, ndr), che vengono impropriamente ‘narrate’ da più parti come un ‘golpe’ orchestrato da Usa, Nato e Unione europea ai danni del governo filorusso di Viktor Yanukovich. In realtà, le prove in merito alle ingerenze esterne sono alquanto relative: le sollevazioni popolari non furono affatto 'pilotate' come la propaganda russa ha voluto far credere e il popolo ucraino aveva mille ragioni per ribellarsi data la corruzione, l’inerzia del parlamento, un’economia povera e condizioni sociali precarie. Insomma, il malcontento dei cittadini era un qualcosa di reale e tangibile, tanto che le ‘intelligence’ di più Paesi hanno sempre parlato di una protesta generata da “cause ed errori politici di diversa provenienza” e di aspettative alimentate dall’interno del Paese e non dall’esterno. La causa principale delle proteste era la sospensione degli accordi di libero scambio con l’Unione europea, decisa dal governo di Viktor Yanukovich, il quale inizialmente aveva avvicinato volontariamente il Paese all’occidente. Il piano di adesione a lungo termine avrebbe visto l'Ucraina avvicinarsi all'Unione europea in base a una serie di standard sociali/industriali prima di poter entrare ufficialmente nell'Ue. C’è da dire che buona parte dell'Ucraina era ‘pro-Ue’, mentre contrarie erano le popolazioni russofone a est e nel Donbass, insieme alla grande maggioranza della Crimea. Pertanto, dopo essere stato minacciato dal presidente russo, Vladimir Putin, delle conseguenze che avrebbe comportato l’avvicinamento dell’Ucraina all’occidente, con un ripensamento dell'ultimo minuto, Yanukovich, alla conferenza di Vilnius, decise di non firmare i Trattati previsti, vanificando anni di lavoro per l'adesione dell’Ucraina alla Ue. Quasi immediatamente, a Kiev esplosero disordini e proteste violente, che provocarono l’uccisione di almeno cento persone. La maggioranza di queste sollevazioni erano organiche; altre, spinte dallo Svoboda (il Partito di estrema destra, nazionalsocialisti che si fecero sostenitori dell’entrata dell’Ucraina nella Nato in funzione antirussa). Dopo la fine delle proteste, a fine febbraio del 2014, l’Euromaiden si concluse con la fuga e la messa in stato di accusa di Yanukovych. Nacque così la rivoluzione ucraina, che fu accompagnata da una rapida serie di cambiamenti nel sistema politico, tra cui il ripristino della Costituzione del 2004, l'installazione di un nuovo governo provvisorio presieduto da Arsenij Jacenjuk, l'abolizione di una legge che riconosceva il russo come lingua regionale ufficiale e lo svolgimento di elezioni presidenziali anticipate, che videro l'elezione di un ‘filoeuropeista’, Petro Porosenko, il 25 maggio 2014. A partire da quel momento, la Russia non ha mai voluto riconoscere come legittimo il Governo di Kiev. E anzi, ha cominciato a ‘bollare’ la rivoluzione ucraina come un golpe orchestrato da Stati Uniti e Unione europea. Fu allora che, in Crimea, la storica penisola nel Mar Nero abitata prevalentemente da russofoni, un gruppo di ribelli, con l’aiuto di militari senza insegne nazionali chiamati ‘omini verdi’ per il colore delle loro uniformi (che poi si scoprì essere milizie appartenenti alle truppe d’élite russe), insorse e proclamò l'indipendenza della penisola, chiedendo, dopo un ‘referendum-farsa’, vinto con oltre il 95% dei voti, l'autodeterminazione e, in seguito, l'annessione della Crimea stessa alla Russia. Un esito che Putin riconobbe immediatamente, ma che non è mai stato accettato né dal Governo di Kiev,dall'occidente. Un’insurrezione armata molto violenta esplose, inoltre, nel successivo mese di aprile 2015, nella parte orientale del Paese, il Donbass, dove alcune forze separatiste, foraggiate dal Cremlino, diedero inizio a una guerra civile ancora in corso nelle province di Donetsk e Lugansk. Queste ultime si sono proclamate, a loro volte, “Repubbliche indipendenti”, a seguito di altri referendum che Kiev si è sempre rifiutata di riconoscere come legittimi. Ora, dopo questa nostra ricostruzione degli antefatti, assai più chiara può apparire agli occhi dei lettori quale sia la vera ‘spaccatura’ all’interno del Paese ucraino: quella tra filoeuropeisti e filorussi. La guerra non si combatte solo sul fronte armato, ma anche sul piano dell’informazione: Volodymyr Zelenskyj sta cercando di contrastare in tutti i modi l’influenza russa in Ucraina, che ha un ruolo tutt’altro che trascurabile. Le misure, dunque, non sono inaspettate. Secondo alcuni esperti, come il dottor André Härtel del ‘Gruppo di ricerca per l'Europa orientale e l'Eurasia’ dell'Istituto tedesco per gli Affari internazionali e la Sicurezza (Swp), le misure attuate da Zelenskyj nell'attuale crisi non sono affatto sorprendenti: da un lato, i divieti di Partito e la fusione dei canali televisivi sono in continuità con l'azione del Consiglio di sicurezza di Stato ucraino contro politici e oligarchi filorussi dal febbraio 2021; dall’altro, “sono in diretta connessione con le necessità dello stato di guerra", ha affermato Härtel a ZdfHeute, un’importante emittente tedesca, la seconda in Germania dopo la Ard. “Le accuse contro le parti sono abbastanza giustificate”, ha aggiunto lo studioso, “poiché le persone e le parti interessate rappresentano una minaccia significativa. E non solo dall'inizio della guerra. Le accuse di lavorare sistematicamente contro lo Stato ucraino sono, nella maggior parte dei casi, corrette. Le possibilità finanziarie e il potere di questi attori filo-russi non devono essere sottovalutati", ha concluso Härtel. Tra i Partiti sospesi figura anche la ‘Piattaforma di opposizione - Per la vita (Opzzh)’, che alle elezioni del 2019 ha preso il 13% dei voti, ottenendo 43 seggi parlamentari su 450. Si tratta di una formazione apertamente filorussa e antieuropeista, guidata dall’oligarca ucraino di origine russa, Viktor Medvedchuk. Quest’ultimo, durante la campagna elettorale, ha sostenuto una politica a favore dei territori con presenza russa dell’est, riconoscendo le Repubbliche del Donetsk e di Luhansk. La vicinanza di Medvedchuk a Putin è cosa data come certa, tanto che lo stesso oligarca ha definito il presidente della Federazione russa: “Un amico personale”. Nel maggio del 2021, Medvedchuk era finito agli arresti domiciliari con l’accusa di alto tradimento per alcuni suoi affari legati alle miniere di carbone in Crimea, attraverso i quali avrebbe finanziato le forze separatiste filorusse. Tre giorni dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, Medvedchuk è evaso dagli arresti domiciliari e non si sa più che fine abbia fatto. Nonostante Opzzh sia stato il principale agente dell'influenza russa in Ucraina, fornendo sostanziali informazioni di ‘intelligence’ a Mosca, il Partito può comunque vantare una composizione variegata e ospita al suo interno diverse voci indipendentiste ucraine. Dopo l’invasione russa in Ucraina, infatti, Opzzh ha preso le distanze dal Cremlino, condannando la guerra e invitando i suoi membri a prendere parte alla difesa territoriale. Poi, c'è Nashi (letteralmente: ‘Nostro’, ndr), un Partito che conta 6 seggi al parlamento di Kiev, finito anch’esso nella lista dei ‘Partiti sospesi’. E’ guidato da Yevhen Murayev, un imprenditore e politico che possiede diversi canali televisivi e siti di news filorussi. Secondo un rapporto dell’intelligence britannica, la Russia stava considerando la possibilità di rimuovere Zelensky dalla presidenza dell’Ucraina e mettere al suo posto proprio Murayev. Un altro tra i Partiti sospesi è il ‘Blocco di opposizione’. Anch’esso conta sei seggi in parlamento e deriva dalla fusione di varie formazioni che, nel 2014, non avevano appoggiato l’Euromaidan, cioè le sollevazioni popolari europeiste che avevano portato alle dimissioni del presidente, Viktor Yanukovich. Di certo, quel che hanno in comune questi Partiti temporaneamente sospesi non è il loro essere di sinistra, quanto piuttosto il fatto di avere legami con la Russia e la poca rappresentanza ottenuta in parlamento. Si tratta, dunque, di forze politiche che hanno poco a che fare con la concezione occidentale di ‘sinistra’, poiché molto vicini al nazionalismo russo. Il Partito socialista progressista è uno di questi: una derivazione del Partito nazionalbolscevico composto da fondamentalisti religiosi, razzisti e ultranazionalisti russi, affiliati all'organizzazione ultra-conservatrice di Aleksandr Dugin. “Il Partito socialista progressista, in passato era una formazione di centrosinistra, ma è stato dirottato dalle forze pro-Putin”, afferma Vladyslav Starodubtsev, membro del Sotsialnyi Rukh, un ‘Movimento sociale’ nato nel 2016 per rispondere alla mancanza di una vera sinistra in Ucraina. “Esso è oggi radicato nell'estremo nazionalismo russo anti-ucraino”, spiega Starodubtsev, “fino alla negazione dell'esistenza stessa degli ucraini. Si tratta di una forza politica che non ha più niente in comune con il socialismo”. A essere stato sospeso dal decreto di Zelenskyj è anche il Partito di Shariy. Il quale, oltre a non avere seggi in parlamento, vede semplicemente come suo fondatore Anatoly Shariy: un esponente che fa propaganda russa al soldo di Putin e apertamente schierato contro il governo di Zelenskyj, le cui dichiarazioni in patria contro rom, omosessuali ed ebrei sono tristemente note. Tutti gli altri Partiti non sono mai stati rilevanti nella politica del Paese e non hanno seggi in parlamento. Risulta pur vero che le scelte ‘censorie’ dell’attuale presidente dell’Ucraina hanno fatto molto discutere e sono state giudicate eccessive, anche in uno stato di guerra. Di sicuro, non si può certo dire che dietro queste decisioni non vi siano forti motivazioni. Anche perché, l’equiparazione del governo di Kiev con il regime di Putin è ingiusto: le contromisure prese dal presidente ucraino sono scattate in una situazione bellica particolare, dettata da un’invasione che passa anche attraverso l’informazione e la propaganda. Una propaganda che, è bene sottolinearlo, esiste su entrambi i fronti del conflitto.





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