La scomparsa di
Roberto Calasso, avvenuta nei giorni scorsi a
Milano, è l’ennesimo segnale di un’intera
generazione che ci sta lasciando: una perdita enorme per il mondo dell’editoria e della letteratura in
Italia, la fine di un’epoca. Soprattutto, in un momento come quello che sta attraversando la cultura nel nostro Paese, assediata dalla
liquidità dei ‘social’ e
dall’autoreferenzialità più
morbosa. Solamente il suo lavoro di riproposizione di
Nietzsche basterebbe a incastonare per sempre
Roberto Calasso in una categoria, quella dei
‘grandi editori’, che oggi sembra composta da gente che proprio non merita tale qualifica professionale. C’erano solo
due editori che ancora si salvavano, in
Italia, mantenendo in vita un mondo, quello dei libri, sempre più dimenticato:
Elvira Sellerio e, per l’appunto,
Roberto Calasso. La prima, con quel suo gusto tutto siciliano di andarsi a cercare autori carichi di gusto e maestrìa descrittiva come
Andrea Camilleri, il quale ha lasciato un vuoto che si comincia a percepire sempre di più; il secondo era lui,
Calasso, il grande direttore editoriale della
Adelphi. Quella casa editrice che sembrava non sbagliare un colpo nello scegliere
‘percorsi segreti’ e
autori imprevedibili. Libri che ci hanno aiutato a entrare in territori che apparivano, a prima vista,
ostici, se non addirittura ostili: la
Storia, la
filosofia, la
letteratura mitologica, le
religioni. Solo un direttore editoriale come
Calasso poteva riuscire ad avvicinare i lettori verso certe materie: una guida indiscutibile per tanti, tantissimi di noi, che prima di incontrare un suo
volume ci affidavamo al
nozionismo di qualche docente degli anni del Liceo. Invece, la
Adelphi riusciva sempre, con un
unico libro, a darci improvvisamente le
‘chiavi’ per rimettere al loro posto tutte le
‘tessere’ sparse di quell’enorme
‘puzzle’ disordinatamente consegnatoci dal mondo della
scuola. Perché c’è sempre un
‘libro-chiave’ per ognuno di noi; così come nella
musica c’è sempre un
‘brano-bussola’, come quelli di
Francesco De Gregori. E si scopre, finalmente, un mondo che non è affatto
noioso, bensì ricco di
emozioni e
sensazioni parola per parola, riga su riga, capitolo dopo capitolo. Dalla sterminata bibliografia di
Simenon, fino alla riscoperta di autori italiani del calibro di
Anna Mario Ortese e
Guido Morselli, il
catalogo Adelphi si è sempre distinto per la sua ecletticità e la qualità letteraria dei suoi libri. Ma siamo
preoccupati, oggi, perché ci sentiamo
più soli senza un editore così
‘bravo’ nel fare il proprio mestiere. E lo siamo perché
l’impressione dominante non è quella di doversi
accontentare di
editori che esercitano
‘normalmente’ la loro professione, bensì perché ci sentiamo circondati da personaggi che avrebbero dovuto
fare altro nella vita. Il mondo della cultura perde un altro dei suoi
Maestri. I quali, non si sa bene perché, quando se ne vanno non lasciano
eredi. Ma ciò accade non tanto perché i
primi non abbiano voluto pensare ai
secondi, bensì perché i
secondi non si pongono minimamente il problema di provare a essere
degni dei
primi. Non frega quasi più niente a nessuno della
cultura letteraria, in
Italia. Restano solamente delle
‘sacche’: piccoli
'circoli', isole di resistenza al conformismo del
panorama culturale italiano, tutto preso da una sterile e bulimica rincorsa editoriale che poco ha a che fare con la vera letteratura.
“Tutto il resto è noia”, avrebbe chiosato
Franco Califano. Perché non c’è proprio più nessuno in grado di
‘cantarcele’, certe cose.
A chiare note.