Condivido quel che ha scritto Arturo Diaconale, circa
la dura sconfitta dei laici. Noi laici perdiamo politicamente, prima di essere umiliati elettoralmente. Ma, affinché non sia un inutile pianto, guardiamo bene
dentro la realtà dei fatti. L’origine della sconfitta non è nel fato e nella sorte, ma prima di tutto nell’incapacità, direi
nella piccolezza politica dei laici. L’occasione era quella delle
elezioni europee, terreno ideale per
collaudare una formazione diversa, che avesse la storia delle
famiglie liberaldemocratiche ma la voglia di contare nel presente e nel futuro. Quell’occasione si perse per miseria personale. La si perse perché c’era chi aveva
il problema del garofano, della tradizione socialista, c’era chi aveva quello del
simbolo, chi si faceva
ammaliare da disegni privi di senso, tipo partito della bellezza, nel complesso tutti giocavano a
nascondere la propria misura elettorale, in modo da potersi
vendere meglio alle successive
elezioni politiche. Ed eccole arrivate. Che si schierino a destra o a sinistra,
i laici ne escono a pezzi.
Ha ragione
Daniele Capezzone a dire che le
281 pagine del programma dell’Unione sono buone per il caminetto. E’ vero, ma se non è sui programmi che le minoranze contano e condizionano,
su cosa altro potranno farlo? Di qua e di là saranno assicurati
diritti di tribuna: poca e tirchia cosa. Ma la colpa è di chi, i laici, non ha saputo
pensare se stesso come forza. Valgono i rapporti di forza, e chi non può mettere in campo i soldi e i voti deve far pesare
le idee, le proposte, le iniziative, deve sapere rompere e diversamente ricucire, deve muoversi in modo lineare e non lasciarsi ingabbiare dalle tifoserie, deve saper pretendere e non solo chiedere. Arturo ed io
una strada l’avevamo vista, però è bene che i lettori sappiano che
non interessava a nessuno, ma proprio a nessuno. I gruppi dirigenti del mondo liberaldemocratico
non sono solo vecchi (anagraficamente), ma sono anche invecchiati male, pensano che la sopravvivenza di un’idea
coincida con la loro personale ricollocazione, non sanno neanche immaginare condizioni senza le quali potrebbero anche dire: no, adesso è troppo. Il diritto di tribuna, da una parte e dall’altra, sarà assicurato a pochi, e di quei pochi alcuni lo useranno per chiudere la carriera. Auguri. Ma agli altri occorre rivolgersi ancora, perché
la politica sopporta le sconfitte, mentre non tollera gli abbandoni, e noi non molliamo. Agli altri diciamo: queste elezioni sono state
le ultime della seconda Repubblica, mai più vedremo, dieci anni dopo,
sempre gli stessi sfidanti, le coalizioni sono un frullato disomogeneo, voi, che domani sarete eletti, già pensate al modo per essere rieletti o v’interessa una battaglia politica che
restituisca forza alle culture che possono mettere l’Italia in condizione di riprendere il cammino? Nel primo caso, di nuovo auguri, nel secondo cercheremo ancora di renderci utili.
Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 14 aprile 2006