Tutti dietro a
‘Perseverance’, per vedere cosa diamine potrebbe trovare su Marte. E invece, la notizia arriva direttamente dalla Nasa, dove la biondissima scienziata irlandese, docente presso la
Open University (Uk), Lauren McKeown, è riuscita a provare
‘l’ipotesi di Kieffer’. “Questa ricerca presenta la prima serie di prove empiriche per spiegare un processo ancora non del tutto noto, che si pensa modifichi il paesaggio polare su Marte”, riferisce la studiosa.
“L’ipotesi di Kieffer è stata ben accettata per oltre un decennio, ma fino a ora era rimasta confinata a un contesto puramente teorico. Gli esperimenti mostrano prove tangibili che i ‘ragni’ su Marte possono essere scolpiti dalla conversione diretta del ghiaccio secco, dal solido al gas”. Niente a che vedere, dunque, con una famiglia particolare di
‘aracnidi marziani’, che avrebbero potuto dar vita alle ipotesi peggiori di
contattisti e
ufologi, ovvero che la tipologia più probabile di
extraterrestri che potremmo incontrare sarebbe di natura
‘insettoide’. Per fortuna, non si tratta di questo. Stiamo, invece, parlando di una scienziata da sempre
‘in fissa’ per
canali, crepacci e
depressioni della
‘crosta marziana’. In questo caso, stiamo parlando di scanalature create da alcuni gas, definiti
‘spiders’ dal geofisico
Hugh Kieffer, a causa delle loro forme. Canali e crepacci che lo scienziato americano aveva studiato attraverso le
osservazioni orbitali delle primissime
sonde satellitari inviate dagli americani. Si tratta, insomma, di
strani canaloni a forma di
‘stella marina’ che si trovano, principalmente, nelle
regioni polari meridionali del
pianeta rosso, mai osservate su nessun altro corpo celeste, cometa o asteroide del nostro sistema solare: un fenomeno che avviene
solamente su Marte, probabilmente a causa della sua particolare
distanza dal
sole e per la sua
orbita intorno alla nostra stella. La ricerca condotta dalla scienziata
Lauren McKeown ha ricavato, finalmente, una prova concreta di quella che era nota come
‘ipotesi di Kieffer’, la quale ipotizzava l’origine di queste ramificazioni frattali di
Marte nell'innalzamento di
anidride carbonica congelata. Un processo di superficie, che
modifica in continuazione il
paesaggio polare del pianeta. La qual cosa è indubbiamente interessante e originale: un po’ come se ci recassimo in
Groenlandia per una vacanza estiva e, tornandoci l’anno successivo, la trovassimo
geologicamente diversa, con
vallate, montagne e
vulcani che l’anno prima non
c’erano per niente. L’idea di un pianeta
‘geologicamente dinamico’, che cioè continua a
mutare i suoi paesaggi da un anno all’altro, fino a oggi veniva accettata dalla comunità scientifica solo come
mero assunto teorico, dato che si trattava di un’ipotesi
palesemente plausibile, che capita anche sulla
Terra, benché con tempistiche evolutive assai più lente, quasi
impercettibili. Ma l’esito degli esperimenti della
‘biondissima’ McKeown ha mostrato che i
modelli di ‘ragno’ che osserviamo dall’orbita intorno a
Marte possono essere scolpiti dalla
conversione diretta del
ghiaccio secco dallo
stato solido, direttamente a quello
gassoso. Infatti,
Marte è più lontano dal
sole rispetto a noi. Pertanto, nelle sue stagioni invernali,
l’anidride carbonica (Co2), di cui è piena la sua atmosfera, si
congela al suolo. Ma quando il pianeta, durante la
stagione primaverile, si
riavvicina al sole, la sua orbita comincia a
riscaldare il ghiaccio, che diventa
gassoso senza passare per lo
stato liquido. Tali
‘lastre’, infine, si spaccano, creando gli
strani canali scolpiti nel terreno. Il geofisico
Kieffer, lo studioso che aveva formulato per primo questa teoria, aveva provato a ricreare il processo
in laboratorio, ma non era mai riuscito a ottenere le prove di quanto aveva
intuito. Ora che, invece, conosciamo il fenomeno, possiamo studiare ancora più a fondo la
natura di Marte e dei suoi
cicli stagionali.